sabato 27 aprile 2024

14/08/2012 06:43:24 - Provincia di Taranto - Speciale

Natuzza visse nell’oltraggio della chiesa – istituzione. Solo oggi si entra nel segno della beatificazione. Una donna del popolo che incontrò Cristo e la Croce.

 
 
di Pierfranco Bruni
 
 
Paravati in Calabria. Di quella Calabria che ha come riferimento una antica cittadina normanna di nome Mileto. Sono qui di passaggio dopo una sosta a Napoli per rivedere e rileggere i paesaggi e i luoghi di San Giuseppe Moscati e discutere di linguaggi perduti e di etnie diventate antropologie culturali. A Paravati è nata nell’agosto del 1924 Natuzza Evolo. La mistica popolare calabrese che portava le stimmate come Padre Pio. Miracolata da San Giuseppe Moscati. Miracolò nella grazia e nel dono in Cristo. Visse nell’oltraggio della chiesa – istituzione. Solo oggi si entra nel segno della beatificazione. Una donna del popolo che incontrò Cristo e la Croce.
Tutta la sua vita fu segnata, sin da ragazza, dalle incertezze e dalle ferite. Devota in San Francesco di Paola. Ma il suo cammino da laica visse il mistero e il silenzioso disegno del mistico. San Giuseppe Moscati è nella sua vita. Il mistico conosce la storia e riesce a vivere dentro la storia dell’umanità ma con essa ha sempre un rapporto misurato sul confine dei limiti metafisici. Il mistico conosce la teologia ma è il mistero che rapisce la sua anima perché il suo cuore è fuori dalle ambiguità e il suo sguardo ha sempre lo spazio della carità.
Da Napoli a Paravati. Il viaggio non è solo una geografia di luoghi. Ci sono pensieri. Il medico in camice bianco che consacrò la sua vita alla misericordia e la “popolana” che visse il mistero nella pazienza. Continuo a riflettere sulla figura di San Giuseppe Moscati e di Natuzza entrando tra le pieghe della mia vita. Moscati. Non è soltanto un uomo – santo che è stato attraversato dal mistero. Il mistero è parte integrante del suo vivere quotidiano attraverso una chiave evangelica che scava rughe nel senso d’infinito.
Noi naviganti sprovveduti ci affidiamo alla salvezza che ci offre non certezze ma la forza di aggrapparci alla preghiera. È la preghiera che ci salverà o forse ci solleverà dai dolori del quotidiano in una gioia che si chiama sopportazione. Ma questo viaggio che raccogliamo nelle nostre anime ci viene affidato da una voce che, a volte, giunge da lontano, a volte, è vicinissima, e si chiama fede.
La preghiera senza la fede non conduce lungo la strada della salvezza. Bisogna credere! Avere fede in Cristo. Quando ho pensato, e per lunghi giorni ho meditato leggendo documenti e consultando testi, visitando e rivisitando Napoli, di impostare il mio scritto su Giuseppe Moscati mi sentivo completamente indifeso e impreparato. Come sempre mi succede arriva, proprio in alcuni momenti particolari, una voce riposante che ha il dono della serenità. Quella voce mi sussurra parole. Sono le parole che hanno abitato lo strazio e sono diventate leggerezza. La leggerezza del sogno.
Il silenzio si fa intreccio di ricordi e nelle visioni che prendono il sopravvento è come se vivessi una vacanza di linguaggio che si trasforma in assenza. E poi giungono le parole, le parole che scrivo, le parole che sono un flusso che mi trasporta in un immaginario, in cui immagini e suono si incontrano. Sempre ritorno a San Giuseppe Moscati. La sua figura, io “figlio” di Francesco di Paola pur nel mio problematico incontro e scontro con questo gigante della mia vita, la sento, la avverto e giunge con la serenità di una percezione.
Io scettico ed eretico. Forse più eretico che altro sono lontano dalla chiesa istituzione. Ovvero sono lontano dalla chiesa – Agostino Gemelli. Ho avuto duri scontri, in anni lontani, quando proponevo nei miei convegni la cristianità popolare e non “istituzionale” del Santo di Pietralcina. Padre Pio, un santo da vivo che padre Gemelli non accettò. E poi Natuzza Evolo: la mistica di Paravati, in Calabria, che Gemelli fece rinchiudere in manicomio.
Io apparendo alla “scuola” di Ernesto Bonaiuti ma con coerenza a quella di Giordano Bruno e prima o poi ho il dovere di scrivere un libro su Giovanna d’Arco. Io sto con Natuzza. Io sto con Padre Pio. Io sto con San Giuseppe Moscati. Con la chiesa non teologia ma con la “chiesa” mistero che è la “chiesa” dei mistici.
Ebbene, spesso mi trovo a raccogliere l’offerta del silenzio e di dialogare in modo forte con i santi. Dialogo e mi scontro. Mi danno mazzate e mi accettano. Sono loro che mi hanno cambiato. Sono loro che tracciano il mio viaggio. Nella mia umiltà riesco forse anche a pregare. Con dignità. Ma non chiedo di essere perdonato perché non credo al peccato. Dopo il processo e le fiamme di Giordano Bruno non riesco ad accettare il concetto né di peccato e tanto meno di perdono. Giuseppe Moscati cerca di mettermi sulla linea e ascolto le sue parole come se fossero il portato di una costante testimonianza.
Credo a quella voce che mi giunge da lontano e mi sussurra. San Giuseppe Moscati ha segnato, accanto al mio San Francesco e alla Madonna di Pompei, il mio vivere. Con Antonio è tutto un altro discorso. C’è di mezzo anche il deserto e l’Oriente.
Tra San Giuseppe Moscati e Natuzza (Paravati, 23 agosto 1924Paravati, 1 novembre 2009) ci fu una frequentazione fatta di segnali e di mistero. Ed è proprio scavando in alcune pagine riguardanti Natuzza, la mistica calabrese, mi sono ritrovato nel misterioso segno della grazia. La grazia è nel mio cammino. Come il miracolo. Ma ciò non mi convince nell’accettare la “complicità” tra il peccato e il perdono: sono sempre più convinto della loro vanità e della loro “invenzione” contro il mistero per incutere timore.
Non mi appartiene il termine “timor di Dio”. Io non ho timore. Io litigo con il Francesco di Paola costantemente. Natuzza è il mistero e non la teologia. Potrebbe diventare anche teologia ma è sempre il mistico che traccia i destini. Ho trovato una confessione che mi ha emozionato e mi ha fatto tremare l’anima tanto che i miei bracciali orientali, che hanno segni sia di ortodossia che di eresia, hanno emesso un suono strano.
Conoscevo già questo episodio per una esperienza antropologico – popolare. Ma letta con una sintonia d’anima mi ha scavato tra le pieghe lasciandomi ancora di più dentro le foglie di quel mistero che è molto caro a Giuseppe Moscati.
Ecco: “Un altro Santo con cui Natuzza ebbe un particolare rapporto intenso fu Giuseppe Moscati! Il medico Santo l’aiutò quando fu operata al cuore nel 1996. durante l’intervento, Natuzza lo vide materializzarsi accanto ai chirurghi chini su di lei. Le parlò e la rincuorò, stando alle testimonianze degli stessi medici qualcosa di clinicamente inspiegabile avvenne durante quell’operazione. Natuzza mi confidò una volta che San Giuseppe Moscati le appariva spesso quando lei si trovava in altri luoghi, da persona che soffriva come se volesse sostenerla in queste sue missioni”.
Il brano è tratto dal libro di Luciano Regolo: “Natuzza, amica mia. La vita di Natuzza Evolo nel racconto di una testimone d’eccezione”, Mondadori 2011 (pag. 86).
La testimone d’eccezione risponde al nome di. Italia Diodati Giambà. San Giuseppe Moscati e Natuzza continueranno a dialogare per dare un senso al bene, per condurci verso la salvezza senza passare in quel timore di Dio. Non è timore. Io considero ciò piuttosto, alla kiergardiana maniera, “tremore”. Posso avere tremore di Dio ma mai timore.
Moscati e Natuzza. Un uomo di scienza. colto che ha portato con sé sempre la carità (quella francescana) e una donna popolana nel “segreto” dei mistici che viaggiano lungo i sentieri del sacro. Il mistero non è un cammino inesplorato e tanto meno ci si mette in cammino del mistero.
Per chi ha fede nella chiesa ed ha il dono del credere è meno inquietante o forse non lo è per nulla vivere la religiosità nella cristianità superando il peccato con il perdono.
Per gli eretici che continuano ad ammirare Giordano Bruno e Giovanna d’Arco e vivono il terribile senso inquieto di Giovanni Papini e Diego Fabbri e processerebbero in una danza indiana (“Indiana”, ovvero scardiniamo in termine “In - dia – na”) di guerra Apache le inquisizioni è molto più inquietante e forse è terribilmente devastante fare i conti con il mistico che sa come è inquietante il dubbio e quanto tremore reca l’amore nel mistero.
San Giuseppe Moscati ha il misterioso che ci avvolge. Egli però era anche uomo di chiesa. Aveva una profonda serenità. Io invece resto nei “sotterranei del sottosuolo” a contemplare il segno dei misteri. San Giuseppe Moscati è nella vita nascosta con Cristo in Dio. Come San Paolo. Forse ci sarà ancora una Gerusalemme Liberata o un sole così accecante che mi condurrà oltre Damasco?
Ecco perché il mistico conosce la storia e il tempo ma è l’eternità che vive nel suo cuore. È questo forse uno degli insegnamenti belli di Giuseppe Moscati. Un Santo oltre le liturgie.
San Giuseppe Moscati. Un Santo nella ironia di una recita e nelle fedeltà del teatro della vita che può reggersi in Cristo in Dio come la mistica calabrese alla quale spesso ritorno per due elementi: quello profondamente cristiano e quello marcatamente popolare.
I Santi tra le genti. Sarebbe una bella riflessione che va oltre le regole stesse del “religioso”. I veri insegnamenti restano i Santi tra le genti. Sono questi che ci salveranno. La presenza di San Giuseppe Moscati nella vita di Natuzza non è un leggero passaggio perché tutto ha un senso. Due laici nella cristianità e nel miracolo. Mi allontano da Paravati e vado verso Mileto. Mi aspettano le comunità etniche del mondo grecanico calabrese. Altre storie. La storia e la grazia. Mi perdo tra documenti e segni che giungono nel vento di agosto.








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