giovedì 18 aprile 2024

31/07/2014 08:44:32 - Manduria - Cultura

 I limiti “propulsivi” dell’istituzione universitaria rispetto al territorio di riferimento sono evidenti

Chi ha fatto studi di Storia dell’Arte e ha intenzione di avviare un’attività di ricerca, anche solo a titolo personale, sul territorio, è molto spesso destinato a “scoperte” di non poco conto. In fondo, il bello della ricerca sta appunto nell’introduzione di nuovi elementi di conoscenza all’interno di panorami disciplinari non di rado abbondantemente “cristallizzati”. La ricerca su scala territoriale, condotta autopticamente, cioè recandosi sul posto a visionare manufatti e contesti, mette inoltre il ricercatore di fronte ai concreti limiti dell’istituzione universitaria nella capacità di interagire con il territorio di riferimento. Partiamo dunque dalle “scoperte” degli operatori, che percorrono pazientemente in auto un territorio non piccolo come quello salentino, confrontando i quadri proposti dalle grandi sintesi accademiche e dalle tesi di laurea con la concreta realtà territoriale.

Le sorprese sono davvero tante, talora significative sia in termini quantitativi che qualitativi. Si pensi alla recente notizia della scoperta di due tele inedite dei pittori salentini Gian Domenico Catalano e Donato Antonio D’Orlando, fornita a brevissima distanza dall’uscita di una qualificata sintesi della produzione dei due artisti, pubblicata in occasione di un’importante mostra leccese sostenuta dall’Università (cfr. N. Fasano, La chiesa di San Domenico propone due inediti di importanti artisti salentini, in “Corriere del Giorno”, 29/12/2013, pp.20-21). Il limite dell’istituzione, in questo caso, è stato quello di non essere stata capace di uscire fuori dai confini del territorio leccese, “sforando” in quello tarantino, che non ci pare propriamente lontanissimo. A pochi chilometri di distanza da Lecce, una ricognizione nella importante chiesa di San Domenico avrebbe permesso l’acquisizione di due importanti inediti, di cui tutti ignoravano l’esistenza.

Recente è poi la notizia della scoperta, ad opera dell’instancabile amico Nicola Fasano, di un notevole crocifisso ligneo policromo, di formato “terzino”, nella sacrestia della chiesa di San Domenico a Taranto, verosimilmente attribuibile allo scultore gallipolino Vespasiano Genuino (1552-1637), la cui produzione è stata recentemente sintetizzata dagli studi esemplari di R. Casciaro, P. Leone de Castris e M. De Santis.

Il manufatto, donato due anni fa alla chiesa di San Domenico da privati cittadini, giaceva appunto nella penombra della sacrestia, finchè vi è caduto sopra l’occhio “pietoso” di qualcuno. Nella sola Manduria, inoltre, esistono almeno altri tre manufatti simili, del tutto inediti, che attendono di essere catalogati, studiati e possibilmente inseriti in un progetto organico di fruizione. E l’elenco potrebbe, naturalmente, continuare. Le evenienze che abbiamo esposto ci inducono, allora, alla seconda considerazione: i limiti “propulsivi” dell’istituzione universitaria rispetto al territorio di riferimento sono evidenti. Tranne alcuni casi (si pensi, per es., al polo per l’arte contemporanea costituito a Brindisi), l’Ateneo salentino è scarsamente partecipe delle dinamiche territoriali, ai vari livelli. Il rapporto tra gli accademici e gli operatori locali è orientato, da sempre, nella direzione che tutti conosciamo. Gli effetti prodotti da questo stato di cose sono manifesti: negli istituti si accumulano tesi di laurea che, quando non sono elaborati compilativi, costituiscono catalogazioni dei patrimoni storico-artistici dei paesi, che in genere non arricchiscono i contesti locali. Nella gran parte dei casi, questi lavori non producono nemmeno una conferenza; tutt’al più, sono utilizzati da qualche volenteroso studioso per l’ennesima pubblicazione.

A questo proposito, c’è da dire che nel settore storico-artistico il Salento vanta un’attività editoriale invidiabile, che però, ancora una volta, non ha ricadute proporzionali nelle singole realtà locali. Di rado le nuove acquisizioni scientifiche fornite dall’accademia in eleganti pubblicazioni sono occasione per uno slancio operativo, che è ciò di cui la nostra terra ha realmente bisogno. Eppure, i vantaggi di una collaborazione tra istituzione e gruppi di lavoro periferici, orientata da una progettualità di lungo periodo, sarebbero innegabili, e, ci si passi il termine, di portata rivoluzionaria. La ricostruzione dei singoli contesti territoriali nella molteplicità delle presenze e dei valori storico-artistici costituirebbe il punto di partenza per la comprensione “totale” delle nostre realtà locali, allo scopo di potervi finalmente operare con strumenti idonei, senza aspettare che qualcuno (?) lo faccia per noi.

I materiali per questa operazione sono ampiamente disponibili, ma l’osmosi tarda ad avviarsi, per i limiti sia del centro che della periferia. Limiti che, naturalmente, sono da imputare ai singoli operatori, alla loro visione delle cose, ed ai  loro desideri ed aspettative, spesso sedimentatesi in un tempo lunghissimo. Come è noto, gran parte dei laureati dell’Ateneo salentino, dopo una più o meno lunga permanenza a Lecce, rientra nei paesi senza significative motivazioni a spendere le competenze sul territorio: prevalgono gli obiettivi occupazionali tradizionali, che è possibile concretizzare, forse, solo al Nord, se non addirittura all’estero. Daltro canto, far convergere desideri e aspettative verso l’Ateneo non ci pare l’unica strada percorribile, anche in considerazione del fatto che importanti lavori di ricerca su argomenti e personalità di rilievo esauriscono la loro funzione esclusivamente in ambito accademico.

Ma siamo in Italia, e la distanza tra il conoscere e l’operare, specie in ambito umanistico, è ben lungi dall’essere colmata, poichè, come è noto, i “pontefici” latitano. Comunque, non è difficile farsi un’idea delle varie operazione culturali e delle istituzioni che le promuovono: nei nostri paesi assistiamo, per il momento, soprattutto a presentazioni di volumi freschi di stampa e a conferenze sul restauro delle statue dei santi patroni.

Nicola Morrone 









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