venerdì 19 aprile 2024

01/04/2015 19:52:40 - Manduria - Cultura

Sopravvivenza di antichi riti precristiani nelle nostre tradizioni pasquali

 
“Il sepolcro era stato fatto tra le colonne di una navata, coperte di paramenti neri. L’altare s’intravvedeva bianco nella penombra, con una nuda croce nel mezzo. Sulla croce, una candida tovaglia ripiegata simboleggiava il sudario. Ai lati dell’altare erano state collocate in fila statue di guerrieri, di sacerdoti, di maddalene piangenti; ma v’erano anche Santi e patriarchi. (…) Ardevano nella penombra ceri rossigni, che illuminavano le facce di quelle statue e della gente, e i vasetti di grano bianco sull’altare (…).
 Anche i ragazzi (...) potevano baciare i piedi al Crocefisso, ma dovevano nascondere la raganella, il caro strumento di legno con la sua rotella dentata e la linguetta che, a girarlo rapidamente, strideva rauco ed acuto. (…) scoppiava sul sagrato, assordante e clamoroso, il concerto di raganelle, fra calci e sassate alle porte; finché accorreva il sagrestano con un randello, e guai a farsi cogliere.”.
Sono queste le efficacissime immagini con le quali lo scrittore Giovanni Titta Rosa introduce la descrizione della Settimana Santa del suo paese, in Abruzzo (1).
E nel sepolcro, allestito nella navata della chiesa abruzzese, figurano, immancabilmente, i vasetti di grano bianco, o “piatti ti Cristu” secondo la tradizione manduriana.
Si tratta di vasi (nella nostra tradizione, soprattutto di piatti fondi) ripieni di terra in cui vengono seminati, il Mercoledì delle Ceneri all’inizio della Quaresima, semi di grano, lenticchie, altri cereali e leguminose, che, innaffiati frequentemente, vengono poi lasciati in un luogo buio (in cantina, anticamente “sott’allu limmoni”, il recipiente in creta usato per il bucato), per far sì che i germogli, privati della luce solare (e, così, inibita la fotosintesi clorofilliana), crescano assumendo un colore giallognolo e bianco, con qualche tenue nota di verde sulle punte.
Successivamente, decorati con fiori semplici dei giardini domestici (tradizionalmente garofanini, violacciocche, fresie) vengono portati in chiesa per adornare il “Sepolcro” allestito per il Giovedì Santo (2).
Non di rado, parlando della nostra cittadina, accadeva di vedere esposti in anticipo i cd. “piatti ti Cristu” nella chiesetta dell’Annunziata (o del “Crocefisso dell’Annunziata”), insieme alle rudimentali lampade ad olio (preparate a casa, in un bicchiere di vetro, con lo stoppino galleggiante nell’olio), durante il tradizionale pellegrinaggio giornaliero di preghiera che ancora si svolge, per tutto il mese di Marzo, in preparazione della Pasqua (“Mesi a Cristu”).
Di essi si è occupato Alfredo Cattabiani in una sua notaopera, nella quale soffermandosi sui miti e sui rituali che, nelle tradizioni pagane precristiane, alludevano, quasi profeticamente, alla Pasqua, ha parlato delle cd. Adonie o celebrazioni della memoria della risurrezione di Adone che, normalmente, avevano luogo nel periodo successivo all'equinozio primaverile ed erano molto popolari a Roma, nell’antica Grecia e nell’Asia Minore (3).
Le celebrazioni traevano origine dal mito di Adone, un bambino molto bello, che Afrodite, imprudentemente, affidò a Persefone, dea degli inferi, perché lo nascondesse.
Quest’ultima, però, fu talmente attratta dalla bellezza del bambino che non volle più restituirlo.
Il conflitto fra le due dee fu composto da Zeus che, conciliando le avverse pretese, stabilì che Adone dimorasse, per i sei mesi dell’anno corrispondenti alle stagioni autunnale ed invernale, negli inferi con Persefone e, per i restanti sei mesi (primavera-estate), facesse ritorno sulla terra da Afrodite.
Senonché, la bellezza di Adone suscitò la gelosia di Ares (o secondo altra versione di Efesto) che sotto le sembianze di un animale feroce (orso o cinghiale) lo uccise.
Nelle feste a lui dedicate, dopo la memoria della morte, si ricordava la resurrezione e l'ascensione al cielo del dio.
Faceva parte della tradizione, legata ai festeggiamenti, l’allestimento dei “giardini di Adone”, costituiti da recipenti o vasi nei quali, in un letto di terra o bambagia, erano stati fatti germogliare i semi di grano, orzo, veccia ed altre piante. Queste piantine che, disponendo di poca terra, iniziavano ad appassire velocemente, simboleggiavano la vita del dio morto anzitempo.
Alla fine dei festeggiamenti, dopo le rituali manifestazioni di dolore e disperazione dei partecipanti (lamentazioni per la morte del dio), esse venivano disperse, con le figurine fittili di Adone da cui erano adornate, nelle acque dei fiumi e del mare per consentire la risurrezione del dio della vegetazione e, quindi, il risveglio primaverile della natura. 
Il rito, dopo essere stato cristianizzato, sarebbe arrivato ai giorni nostri in quanto, riferisce l’autore, “…fino all'inizio del nostro secolo le donne siciliane e calabresi seminavano prima del periodo pasquale grano e lenticchie in piatti che tenevano nella penombra, innaffiandoli ogni due giorni. «Le piante» scriveva Frazer «crescono rapidamente, se ne legano insieme i germogli con nastri rossi e si mettono i piatti che li contengono sui sepolcri che si fanno con le immagini del Cristo morto, il venerdì santo, nelle chiese cattoliche e greche, così come i giardini di Adone venivano posti sulla tomba del dio morto.» “ (3).
In realtà l’usanza è molto più estesa di quanto riferisce l’autore, essendo diffusa, oltre che in Calabria (con il nome di graniceddru o granicello) ed in Sicilia (lavureddi), in Abruzzo (come già anticipato), in Toscana, in molte altre regioni dell’Italia meridionale e centrale e, perfino, in Sardegna.
In quest’ultima regione i vasetti di germogli, cresciuti al buio, prendono il nome di “su nenniri” e, tradizionalmente venivano allestiti utilizzando grano, orzo e lino all’incirca tre settimane prima delle feste pasquali. Una volta pronti i vasetti venivano utilizzati per ornare i Sepolcri del Giovedì Santo e non solo. 
Infatti, essi venivano anche donati a familiari e vicini di casa per augurare una buona Pasqua e per essere collocati sulla tavola imbandita per il pranzo pasquale.
In altri casi, sempre in Sardegna, i vasetti erano allestiti per la festa di San Giovanni Battista (24 Giugno) o per altre festività religiose. Mentre a Malta sono allestiti anche per Natale per essere posti intorno al Bambino Gesù.
La particolare diffusione geografica dell’usanza e le modalità, seguite nella preparazione di questi vasetti di grano bianco, attestano, quindi, il collegamento con i riti precristiani innanzi descritti.
Nel nuovo significato, assunto con il cristianesimo, essi vengono però ad alludere alla morte ed alla resurrezione di Nostro Signore, ed alla simbologia del “chicco di grano caduto in terra” che se “muore produce molto frutto” (Giovanni, 12, 20-33, cd. “discorso di Gesù alla venuta dei Greci”): il seme sprofondato nella terra marcisce e muore, ma solo in questo caso produce nuova vita (risorge). 
Il senso profondo ed autentico di questa usanza popolare sembra essere proprio questo, ed è un altro valido motivo per evitare che vada perduta.
Prima di chiudere con l’offerta degli auguri pasquali agli affezionati lettori di Manduria Oggi, reputo opportuno riportare, per meglio descrivere la tradizione manduriana dei “Piatti ti Cristu”, le efficacissime parole del compianto Michele Greco, insuperabile maestro e ricercatore di storia e costumi locali, le quali sembrano quasi echeggiare, per l’analogia di situazioni ed immagini, quelle dello scrittore abruzzese trascritte in apertura:
“Dopo pochi minuti di adorazione accanto ai bei sepolcri luminosi, ed adornati di artistici piatti infiorati (grano, ceci, ed altre leguminose, fatte sbocciare all’oscuro, che ergono il loro tenue stelo, pallido, pallido, digradante verso il verde alla punta ove sbocciano alcune ricciute foglioline di un verde pallido), mentre la congregazione si leva dalla preghiera, i ragazzi armati di tremula iniziano il loro frenetico ed assordante rumore e sotto la volta sacra è un risuonare di frastuoni rumorosi, di ronzii armonici, di piccoli chiocchiolii delle più piccole raganelle, agitate nel loro girare incomposto dai più piccini” (3).
Parole sublimi per descrivere lo spirito autentico delle festività pasquali nella nostra cultura e nelle nostre tradizioni che, a torto, sono state per lungo tempo trascurate o dimenticate, e meritano, invece, di essere recuperate.
Analoghe considerazioni valgono per i riti cittadini del Venerdì Santo (Processione dei Misteri) e, ancor più, per quelli (in parte perduti) del Giovedì Santo (con l’avvicendarsi delle confraternite, recanti il simulacro dell’Addolorata, nelle visite ai “sepolcri”), i quali, se fossero reintegrati e recuperati nella loro antica ed autentica struttura religiosa e tradizionale, non sarebbero (mi sia consentito dire) secondi a nessuno, né temerebbero confronti con quelli di altri centri pugliesi.
Ciò, soprattutto, per le loro originali sobrietà ed essenzialità (che non ne eliminano la solennità e la ricchezza), com’è costume della nostra gente, che non ama la “spettacolarizzazione”.
Che questo modesto contributo possa servire da sprone per il loro pieno recupero.
Con i più fervidi auguri!
 
Giuseppe Pio Capogrosso
 
(1) Giovanni Titta Rosa, L’avellano – Storie e leggende della terra d’Abruzzo, Mursia, Milano 1965.
(2) Attualmente, dopo la riforma liturgica, il sepolcro è in realtà l’altare della reposizione che viene allestito per custodire il Pane Eucaristico dopo la messa in Coena Domini del Giovedì Santo.
(3) Alfredo Cattabiani, Calendario – Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno, Rusconi, Milano 1988.
(4) Michele Greco, “Dalla Cinniredda alla Scarcedda, La Torretta, rivista quindicinale, n.1-2 del 31.3.1926, Manduria.
(5) L’immagine in alto del Cristo Risorto è tratta da un santino degli anni ’70 dello scorso secolo (Collezione privata).
(6) Le foto riproducono i “Piatti ti Cristu” nei sepolcri allestiti nella chiesa di S.Francesco nel 1995 e, dalla Confraternita di S.Leonardo Abate, nella omonima chiesa nel 2008, a Manduria, TA, (Collezione privata).








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