venerdì 19 aprile 2024

28/10/2021 07:50:59 - Manduria - Cultura

L’originalissima costruzione narrativa di ‘Tre piani’ è, più di tutto, un'emergenza comunicativa, la volontà di arginare parole e pensieri in libertà, implosi nell'animo dei personaggi, dando loro una traiettoria che conduce fuori da se stessi, nella delicata dimensione delle relazioni umane

“Tre piani”: si va al cinema o in biblioteca? Nelle sale cinematografiche è un film di Nanni Moretti, presentato a Cannes 2021. In biblioteca “Tre piani” è un romanzo di Eshkol Nevo, scrittore israeliano, tradotto e pubblicato in Italia da Neri Pozza.

Noi andiamo in biblioteca naturalmente, dove, in uno scaffale della sezione narrativa 2020, fra tutti i libri che, trepidanti nella loro ‘copertina buona’, attendono con gioia il momento in cui il lettore darà vita ai personaggi e alle storie di cui essi sono gravidi, fa capolino proprio questo bel romanzo.

I ‘Tre piani’ del titolo sembrano essere quelli di un’anonima e ordinata palazzina situata in un quartiere borghese nei pressi di Tel Aviv, in Israele; possono essere tre storie familiari differenti, seppur accomunate dal filo nero della solitudine e dell’angoscia; certamente sono tre storie dell’anima, immerse, ognuna a suo modo, in una delle tre istanze freudiane dell’Es, Io, Super-Io.

In realtà, l’originalissima costruzione narrativa di ‘Tre piani’ è, più di tutto, un'emergenza comunicativa, la volontà di arginare parole e pensieri in libertà, implosi nell'animo dei personaggi, dando loro una traiettoria che conduce fuori da se stessi, nella delicata dimensione delle relazioni umane. È qui che prendono forma i 'tre piani dell'anima'. Essi non esistono dentro di noi, dice Dvora, la giudice in pensione del terzo piano, dopo aver letto l’opera omnia di Freud, «esistono nello spazio tra noi e l'altro, nella distanza tra la nostra bocca e l'orecchio di chi ascolta la nostra storia (...) E se non c'è nessuno ad ascoltare, allora non c’è nemmeno la storia (...). L'importante è parlare con qualcuno. Altrimenti, tutti soli, non sappiamo nemmeno a che piano ci troviamo, siamo condannati a brancolare nel buio, nell'atrio, in cerca del pulsante della luce» (p. 253.)

Sono proprio le parole di Dvora a illuminare l'intero romanzo, oltre ai piani della palazzina.

A cominciare dal primo, dove Arnon, marito di Ayelet e padre di Ofri, in un lungo monologo con un vecchio amico scrittore e compagno d’armi, consegna la sua anima al sospetto inconscio e ossessivo che, nonostante le apparenze mostrino il contrario, sia successo qualcosa di indicibile alla sua bambina durante il tempo in cui è rimasta fuori con Hermann (un inquilino della palazzina). Tale terribile sospetto corrode il suo controllo portandolo ad aggredire fisicamente l’anziano vicino e a tradire avventatamente la moglie con la nipote minorenne di quest’ultimo, che lo ‘adesca’ facendogli credere di voler scoprire cosa sia successo all’anziano nonno. «E tutto per cosa? Cosa volevo, in fin dei conti? Proteggere le mie donne, difenderle. Garantire che nessuno facesse loro del male» (p. 67). E invece il male abita in lui adesso: «La gente non capisce quanto il tradimento renda soli» (p. 69). Arnon chiede al suo amico scrittore di immaginare un finale bello per la sua storia ‘sospesa’: «Prenditi tutto il tempo che vuoi, amico (…) pensa a un finale positivo per questa storia, d’accordo?» (p. 69).

Al secondo piano c’è Hani, in compagnia dei due figli, in assenza del marito Assaf e sorvegliata speciale di un barbagianni, che sull’albero fuori dalla finestra ogni notte le parla, ergendosi a custode di una probabile temuta follia. È la follia che ha portato la madre in un ospedale psichiatrico, quella stessa che induce Hani a confondere i piani della sua coscienza quando il cognato Eviatar irrompe… nella sua vita? nella sua immaginazione? nei suoi desideri inconsci? La donna affida le sue angosce e la sua solitudine alla vecchia amica Neta: «Ho paura Neta. Ho paura che se non racconto a qualcuno cosa succede, impazzirò (…) Un barbagianni sull’albero può passare. Anche due. Ma cosa succederà se una notte ce ne saranno tre?» (p. 77).

Questa consapevolezza scuote Hani, che intende risollevarsi e ricominciare da se stessa.

Un sentore di libertà agita il terzo piano. Attraverso i messaggi vocali che Dvora, lucidamente, registra sul nastro di una vecchia segreteria telefonica, indirizzandoli al defunto marito Michael, viene fuori una vita ‘ingabbiata’ da regole e ruoli sociali stereotipati. Anche la triste vicenda del figlio Arad ne è rimasta intrappolata, allontanandolo definitivamente da loro. Ora tutto è cambiato. In Israele ci sono manifestazioni di piazza giovanili per chiedere giustizia sociale e un cambiamento radicale. Dvora si rivede in quei ragazzi, le ricordano le sue passioni di un tempo, fino a quando «Tre settimane fa ho deciso di agire. Quante volte abbiamo osservato impazienti le folle radunate nelle piazze a gridare slogan condivisi anche da noi, ma il nostro incarico pubblico ci impediva di gridare con loro? Ora, dopo la pensione, la porta della gabbia è aperta. Allora perché, mi sono chiesta, resto dietro le sbarre»? (p. 161)

Tutto sembrerebbe compiuto. Arnon spera in un ‘happy ending’; Hani si impegna a venir fuori da se stessa nonostante «le pareti della buca sono liscissime» (p. 155); Dvora percorre una strada ‘nuova’, tutta sua. In realtà in ognuno dei ‘tre piani’ se ne celano di nuovi, abitati da protagonisti altri, storie altre che attendono lettori arguti, livelli di lettura ricchi di domande con e senza risposta. Come dire, un romanzo che continua al di là delle proprie pagine, nelle personalissime aspettative di ogni lettore.

Il romanzo ‘Tre piani’ di Eshkol Nevo è disponibile in biblioteca.









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