sabato 20 aprile 2024

05/11/2022 08:53:53 - Manduria - Cultura

Nel 1500, questo fiore (Croqus Sativus), dalla tipica fioritura autunnale, era coltivato, in modo intensivo dalle nostre parti e i nostri contadini erano anche i possessori dell’indispensabile “sapienza”(da intendersi come conoscenza delle complesse pratiche agricole richieste per questo tipo di coltura) della quale purtroppo, a parte la testimonianza delle fonti storiche, in zona non è rimasta traccia

Così la stagione, dopo tanto pacato indugiare, cadeva spossata; e s’alzavano le prime nebbie, partivano gli uccelli, e la campagna si spogliava al vento d’autunno. Nascevano, nelle prime albe rigide, i fiori dello zafferano, umidi di brina. 1

Le righe appena trascritte dello scrittore Giovanni Titta Rosa descrivono la fioritura dello zafferano nel pascoliano fumare della nebbia mattinale nella campagna abruzzese:ancora oggi nella media valle del fiume Aterno e nella piana dei Navelli, nell’aquilano, i contadini continuano a coltivare questo raro e prezioso fiore violaceo, dalle antere gialle e dai pistilli rossi (i soli, che una volta seccati, sono utilizzati per la produzione della spezia).

  Un tempo, parliamo del 1500, questo fiore (Croqus Sativus) dalla tipica fioritura autunnale era coltivato, in modo intensivo, dalle nostre parti e i nostri contadini erano anche i possessori dell’indispensabile “sapienza”(da intendersi come conoscenza delle complesse pratiche agricole richieste per questo tipo di coltura) della quale purtroppo, a parte la testimonianza delle fonti storiche, in zona non è rimasta traccia.

   Invece, come un tempo, anche oggi, a primavera, nelle campagne abruzzesi gli agricoltori preparano accuratamente il terreno per la semina, perché la pianta …richiede cure infinite, va allevata come un bambino: vuole un terreno leggero come la seta, lavorato più di un orto2 e in questo i bulbi sono messi a dimora in agosto, con le prime foglie che spuntano con le piogge di settembre. I fiori però compaiono soltanto a fine ottobre e da essi, dopo la raccolta, vengono estratti i soli pistilli, che opportunamente seccati e tostati alla brace forniscono la preziosa polvere dall’odore aromatico.

Si è calcolato che per produrne un chilogrammo servono circa 120.000 fiori!

  L’elevatissima quantità di fiori occorrente, rapportata alla bassa resa in termini di prodotto finale, spiega quindi l’alta redditività della coltivazione il cui commercio richiedeva, all’epoca, l’impiego di bilance di precisione, di ottone luccicante come quelle del farmacista e con la cassettina coi pesi fino al milligrammo,con le quali i mercanti di zafferano pesavano, come ci ricorda lo scrittore abruzzese, la polvere acquistata dai contadini nelle fiere paesane.3

  A Manduria la sua coltivazione è attestata nel 1500 da numerose fonti (atti notarili, normative locali, ecc.) tant’è che il fiore impiegato per la produzione della spezia è perfino citato nella corrispondenza privata del feudatario del luogo, il marchese Giovanni Bernardino Bonifacio, che lo indica come prodotto tipico della sua terra.

Nei Capitoli concessi dal summenzionato marchese d’Oria all’Università di Casalnuovo (oggi diremmo al Comune) negli anni 1538-40, al n. 8 si legge :che la zaffarana se habbia da pesare in frutto, et non in fiore al tempo che se ne paga  la decima dello zafferano si debba pesare in frutto, e non in fiore, e che il raccolto possa entrare in città attraverso tutte le porte urbiche, e non solo da una. La disposizione facente parte della legislazione statutaria concessa e giurata dal feudatario, conferma l’antico privilegio di pagare la decima in natura dello zafferano sul frutto (prodotto finale) e non sul fiore, rivelando quindi la consuetudine, anche normativa, esistente con questo tipo di coltura agricola.4

Ma la coltivazione del croco ricorre spesso anche negli atti notarili dello stesso periodo, rogati dai notai manduriani. Ad esempio, in una dazione in pagamento, rogata dal notaio Giovanni Sergio Durante il 3 ottobre 1589, i coniugi Donato Massaro e Lucrezia Alefanta di Casalnuovo (Manduria) saldano un debito residuo di otto ducati napoletani cedendo una partita di zafferano piantato su venti tomoli di terreno sita in loco alle Vigne Vetrane.5

Gli stessi atti notarili attestano, talvolta, l’uso dei bulbi di zafferano come moneta di scambio per l’acquisto di terreni o altri beni. È il caso dell’atto rogato dal notaio Pascarello Rosea il 3ottobre 1509, in cui tal Nicola Vagni cede a Leopardo Surano (o Sorano) un casamento in Casalnuovo in vicinìo dicto de la Porta Grande dietro corrispettivo di un certo quantitativo di zafferano. Lo stesso contenuto presentano gli atti di permuta del 21 dicembre 1510 e 19 settembre 1512 dello stesso notaio.6

Altre volte invece i bulbi sono ceduti in prestito per la semina e il ricevente ne assume l’obbligo della restituzione alla scadenza pattuita, attraverso di una sorta di contratto di “mutuo” in cui il tantundem eiusdem generis da restituire è costituito appunto dai preziosi germogli sotterranei.7

Similmente, oggi in Abruzzo alcune associazioni locali hanno utilizzato lo schema contrattuale del mutuo per farsi promotrici di una banca dello zafferano, offrendo ai giovani agricoltori che intendono dare avvio alla preziosa coltura, di ottenere, come prestito d’onore, non somme di denaro ma bulbi da restituire. L’accordo prevede che nei tre anni successivi il mutuatario debba restituire il 60% del quantitativo ricevuto in modo da poter ricostituire la riserva di bulbi di zafferano da concedere in prestito ad altri giovani agricoltori.8

   Adesso la coltura dello zafferano è in fase di ripresa anche in Italia e in Puglia, ma stenta ancora a decollare perché gli elevati costi di produzione non sono ripagati da un adeguato prezzo di vendita del prodotto finito e ciò a causa delle massicce importazioni a basso costo dall’estero (soprattutto Iran, India, Grecia, Marocco e Spagna).

  Tutto questo non avveniva un tempo, quando ancora non erano stati sperimentati gli effetti della globalizzazione. All’epoca da questo prodotto poteva anche dipendere gran parte del reddito del contadino se da quel sacchetto (di zafferano) tenuto in custodia dalla moglie nell’armadio dove aveva profumato la biancheria, dovevano uscire le compere della stagione, la dote per una figlia da maritare, i brelocchi, gli orecchini e le altre vistose orerie, e il nuovo maialetto da allevare per l’annata.9

  

Giuseppe Pio Capogrosso

 

  1. G. Titta Rosa, L’avellano – Storie e leggende della terra d’Abruzzo, Ed. Mursia, Milano, 1965, pag.17.
  2. G. Titta Rosa, op.cit., pag.10.
  3. G. Titta Rosa, op.cit., pag.7.
  4. N. Morrone, Quaderni Archeo, n.9, maggio 2018, Ed. Barbieri, Manduria, pag.21.
  5. M. Alfonzetti, M. Fistetto, I protocolli dei notai di Casalnuovo nel cinquecento, Ed. Barbieri, Manduria, 200, pag.357.
  6. M. Alfonzetti, M. Fistetto, I protocolli dei notai di Casalnuovo nel cinquecento, Ed. Barbieri, Manduria, 200, pagg.60, 70, 85.
  7. La locuzione latina, traducibile in “altrettante cose dello stesso genere” ricevuto, riassume, in diritto, l’obbligazione principale del contrato di mutuo, assunta del mutuatario nei confronti del mutuante. Giova ricordare che, per l’art.1813 del Codice Civile vigente, Il mutuo è il contratto con il quale il mutuante consegna al mutuatario una determinata quantità di denaro o di altre cose fungibili e l’altro si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità.
  8. Articolo comparso sul quotidiano La Repubblica, 21 ottobre 2015.
  9. G. Titta Rosa, op.cit., pag. La parola brelocchi, derivante dal francesebreloques indica ciondoli grossi e vistosi da legare ad una collana e, in genere, tutti gli oggetti di oreficeria appariscenti che erano offerti alla sposa. Nel nostro dialetto si dice “brillocchi”.
  10. La foto in basso è stata scattata da Piergiorgio Mossi pochi giorni fa nel bosco di "Facciasquaya" a Villa Castelli.








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