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30/12/2023 08:57:47 - Manduria - Cultura

Nella villa comunale, nella settimana del solstizio d’inverno, quando la luce diminuisce e antichi riti la invocano caldamente, le foglie del Ginkgo si sono tinte color della luce fin quasi a brillare nell’aria e, cadute, hanno formato un prezioso drappo dorato

Nella villa comunale di Manduria, nei giorni scorsi, abbiamo potuto ammirare le intense pennellate di giallo dei tre esemplari di Ginkgo Biloba ivi presenti. Proprio nella settimana del solstizio d’inverno, quando la luce diminuisce e antichi riti la invocano caldamente, le foglie del Ginkgo si sono tinte color della luce fin quasi a brillare nell’aria e, cadute, hanno formato un prezioso drappo dorato.   

Il Ginkgo Biloba ha una storia affascinante e antichissima. Relitto dell’era terziaria, esso ebbe massima diffusione nel Giurassico superiore e, in forma spontanea, è sopravvissuto solo in alcune zone interne della Cina. Si considera per questo un ‘fossile vivente’ (la definizione è di Darwin), cioè una specie attualmente vivente conosciuta allo stato fossile, morfologicamente simile a quelle del passato. In Cina, e ancora di più in Giappone (è il simbolo della città di Tokyo), esso viene comunque coltivato, soprattutto nei pressi di templi buddisti  e taoisti. Considerato un albero sacro, perché protegge dagli spiriti maligni, nelle filosofie orientali il Ginkgo è elevato a simbolo della coincidenza tra gli opposti e dell’immutabilità delle cose.

Fu il medico tedesco Engelbert  Kaempfer, arrivato in Medio Oriente su incarico della Compagnia delle Indie Orientali, il primo a descrivere botanicamente il Ginkgo nel suo libro “Amoenitates exoticae” e a far arrivare i suoi semi in Europa. Era il 1712, e da allora cominciarono i tentativi di coltivazione dei semi nei giardini botanici delle maggiori università europee, fino ad arrivare nel 1750 nell’Orto Botanico di Padova, dove tuttora l’esemplare esiste.

Secondo lo studioso di botanica E. Thommen, il nome ‘Ginkgo’ è l’erronea trascrizione fatta da Kaempfer del nome giapponese ‘Ginkyō’, derivante a sua volta dall’espressione cinese ‘yin xing’ («albicocca d’argento», in riferimento all’aspetto dei semi maturi). La trascrizione errata fu mantenuta dal botanico Linneo, che la riporta nella sua opera “Mantissa Plantarum” (1767). ‘Biloba’, invece, deriva dal latino ‘bis’ e ‘lobus’ con riferimento alla divisione della foglia, a forma di ventaglio, in due lobi. 

Il fascino di questa pianta (notevolmente utilizzata anche in campo medico) ha ispirato numerosi artisti e poeti, fra questi ultimi  Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832).

Il ricordo di un amore straordinario, tenero  e segreto, tra il poeta tedesco e Marianne von Willemer, è legato proprio a un albero di Ginkgo che Goethe trovò in un giardino di Francoforte. Di questo, ci informa uno scritto della storica dell’arte Martina Brunner-Bulst, dal titolo “Il segreto del ginkgo e una poesia di Goethe” (scaricabile al seguente link  (file:///C:/Users/Utente/Downloads/martina_brunner_blust.pdf).

Marianne è la compagna, molto più giovane, di Johann Jacob Willemer, uomo politico tedesco e amico di Goethe, il quale invita il poeta a fermarsi nella loro residenza vicino Francoforte. Marianne è molto colpita dal fascino dell’illustre poeta e non nasconde il nascere di un intenso sentimento per lui. Sono mesi complicati, in cui i due iniziano una corrispondenza, un gioco poetico finalizzato a nascondere il loro amore. In questo gioco delle parti, le voci di Suleika e Hatem esprimono la segreta passione fra Marianne e Goethe.

Il 15 settembre 1815 Goethe scrive una lettera a Marianne contenente una poesia e due foglie di Ginkgo Biloba, “come simbolo di amicizia”. In realtà, il grande poeta tedesco, nella particolare forma della foglia di Ginkgo trova l’espressione dell’unità nella dualità, riferendola all’essere umano nella sua divisione fra uomo e donna, fino a divenire l’emblema dell'amore fra due amanti. 

Il componimento è contenuto nella raccolta di liriche “Der West-ostliche Divan” nel 1819, con il titolo “Ginkgo Biloba”, e recita così:  «La foglia di quest’albero, dall’oriente / affidato al mio giardino, / segreto senso fa assaporare / così come al sapiente piace fare. / È una sola cosa viva, / che in se stessa si è divisa? / O son due, che scelto hanno, / si conoscan come una? / In risposta a tal domanda, / trovai forse il giusto senso. / Non avverti nei miei canti / ch’io son uno e doppio insieme?».

Per l’immagine che riproduce la lettera, http://alberirodengosaiano.altervista.org/ginkgo-del-poeta/. Ulteriori approfondimenti: D. Nardone, N. Maria Ditonno, S. Lamusta,  ‘Fave e favelle’, Centro di Studi Salentini 2012; P. Crane, “L’albero dimenticato dal tempo”, Olschki 2020.

 









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