marted́ 15 ottobre 2024


08/03/2024 08:54:17 - Manduria - Cultura

In questo libro, avvincente e denso di stimoli, la filosofa Adriana Cavarero va alla ricerca di quanto di profondo, di occulto, di non detto vi è nella “sfera del nascere”

E’ difficile partecipare ad una “giornata” facendo o dicendo qualcosa di originale, sfuggendo al rischio della ripetizione o dello stereotipo. Archeoclub sceglie ancora una volta la strada dell’approfondimento, dello sguardo divergente e lo fa, ancora una volta, con una proposta di lettura, che vuole essere, nel contempo, uno stimolo per agganciarsi a quanto di nuovo “bolle in pentola” nel dibattito filosofico dei nostri giorni.

Adriana Cavarero “Donne che allattano cuccioli di lupo”, Castelvecchi, 2024

Tutti nasciamo dal corpo di una donna e di esso per qualche tempo ci nutriamo. Questo fatto, che pure è un aspetto essenziale della condizione umana, è tuttavia assente dalla riflessione filosofica. Eppure vi è una verità, immanente all’atto del generare, che merita di essere indagata, liberandola dagli stereotipi che su di essa si sono stratificati, occultandola. E’ una verità che  la donna attinge per esperienza diretta, ma sulla quale si stenta ad instaurare un discorso rigoroso.  

E’ quanto si propone di fare la filosofa Adriana Cavarero in questo libro, avvincente e denso di stimoli, in cui va alla ricerca di quanto di profondo, di occulto, di non detto vi è nella “sfera del nascere”. Lo fa confrontandosi non tanto con i testi dei filosofi, che da sempre hanno distolto lo sguardo dalla dimensione corporea del riprodursi della vita umana, quanto con quelli delle narratrici contemporanee, che alle donne hanno dato voce, e con quelli dei tragediografi greci, che dettero voce al mito, nel momento in cui il “logos”, la ragione indagatrice, prendeva su di esso il sopravvento quale strumento interpretativo delle cose divine ed umane.

E’ infatti da un passo delle “Baccanti” di Euripide che la Cavarero trae il titolo per il suo libro ed è a partire da una definizione data da una famosa scrittrice del nostro tempo, Elena Ferrante, che prende avvio la sua riflessione. La Ferrante parla, a proposito della gravidanza e del parto, come  di qualcosa di “tremendo”, un vocabolo che richiama il “deinon” dell’Antigone sofoclea, in realtà intraducibile, col quale si vuole “dare un nome a ciò che, pur congenere all’umanità, sconvolge e mette in discussione proprio quelli che sembrano i tratti più familiari dell’umano stesso”. Che cosa c’è da mettere in discussione nel nostro modo di guardare alla maternità, un dato così usuale e quotidiano da apparire scontato? Tutto, risponde l’Autrice, a partire da quella visione oleografica e rassicurante, circonfusa di luce, che, attraverso le mille raffigurazioni di Madonna con Bambino, si è imposta alla nostra immaginazione. Vi è tanto di oscuro, invece, nel modo in cui, al di fuori di ogni controllo della volontà, delle cellule si sviluppano all’interno del corpo della donna, occupandolo e traendo da esso tutto ciò di cui abbisognano nel loro processo accrescitivo, materia che si riproduce dalla materia, vita che prepotentemente irrompe alla vita. Vi è qualcosa di indicibile in questo o, per lo meno, di non detto, qualcosa che può risultare disturbante nello stesso momento in cui desta meraviglia e su cui solo le donne possono esprimersi, avendone esperienza diretta. Scrittrici del nostro tempo, come appunto la Ferrante o come Annie Ernaux, interpellate dalla Cavarero, proprio a questa esperienza cominciano a dare voce, portandone alla luce gli aspetti più meramente biologici, al di fuori di ogni stereotipo consolidato.

Se, come tutti i fatti umani, anche la maternità è un fatto culturale, è dunque confrontandoci con il processo di civilizzazione, che questi stereotipi ha prodotto, che possiamo accostarci alla sua verità, al “tremendo” del non detto. In tutte le culture arcaiche si venerava con vari nomi una “Dea Madre”, raffigurata come un corpo femminile dal ventre e dai seni prominenti, quale potenza generatrice della vita in tutti i suoi aspetti : la natura, la “physis” dei Greci, che eternamente si riproduce attraverso le singole vite che nascono e muoiono. La tragedia greca, che questi aspetti mitici della cultura arcaica mette in scena, incarnandoli in  fatti e personaggi esemplari, è a questo aspetto della natura che si rifà. Lo vediamo nelle “Baccanti” di Euripide, che ci mostra come le donne di Tebe, in preda al furore suscitato in loro dal dio Dioniso, abbandonano le loro case, le famiglie, i figli, tutti i ruoli a cui il mondo legalizzato della “polis” le ha destinate, per sciamare, tutte insieme, nella selva. Qui, nutrendosi di latte e miele, che la terra spontaneamente produce, a loro volta allattano con gioia cerbiatti e cuccioli di lupo. E’ questa una icona di quella che la Cavarero chiama “ipermaternità”, una maternità che non conosce vincoli di specie, ma si inserisce pienamente nel ciclo riproduttivo della natura, di cui condivide la felicità del dare la vita e del nutrire.

E’ dunque questa la verità che la donna può attingere, a cui pervenire non attraverso il concetto, ma nell’esperienza, unica e inimitabile, della materia che infinitamente si riproduce, nei cicli naturali così come nel suo corpo, che chiede di irrompere alla luce, di vivere nutrendosi di lei, come le piante si nutrono dei succhi della terra, come tutti i viventi si nutrono di altri viventi.

Con questo le donne dei nostri tempi debbono, volenti o nolenti, fare i conti, sembra dire l’Autrice, e chiama in causa il movimento femminista e la filosofa che ne fu, per certi versi, l’antesignana, Simone de Beauvoir. Troppo spesso, a partire appunto dalla de Beauvoir, il movimento di liberazione della donna ha considerato la maternità un ostacolo alla realizzazione del sé, espressione di quella ottusa ciclicità, ripetitività e “necessità” del biologico, che per la donna sembra destino e condanna.

Vittima, la filosofa francese, secondo la Cavareri, di una visione antropocentrica ed androcentrica che, a partire da Platone, vede nel dominare la natura con la forza del pensiero l’unica attività degna di realizzare l’essere umano in tutte le sue potenzialità.

Forse è arrivato il momento di smettere di pensare al “biologico” come ad un ostacolo per la libertà, il tempo di “spingerci a pensare la condizione umana nei termini di una zoo-ontologia materialista che si sforzi di affrancare i viventi dalla presa antropocentrica che la stringe nel suo laccio predatorio”, conclude l’Autrice. La materialità, che la donna esperisce con il suo corpo nel suo farsi generatore di nuova vita, può donarci forse un nuovo modo di considerare il nostro essere al mondo “viventi tra i viventi” e “lasciare spazio ad una prospettiva biocentrica che osi spingersi verso un’ecologia radicale”.

Chi è l’autrice

Adriana Cavarero, già ordinaria di Filosofia Politica all’Università di Verona, è attualmente professoressa onoraria e presidente del Comitato scientifico dell’”Hannah Arendt Center for political Studies”. E’ stata visiting Professor alla New York University e alla University of California.

Riferimenti bibliografici tratti dal libro

Elena Ferrante, “La frantumaglia”, Edizioni e/o

Elena Ferrante, “La figlia oscura”, Edizioni e/o

Luce Irigaray, “Sessi e genealogie”, La Tartaruga

Annie Ernaux, “L’evento”, L’orma editore

Adriana Cavarero, “Nonostante Platone. Figure femminili nella filosofia antica”, Castelvecchi                                                                 

Rosella Prezzo, “Trame di nascita”, Moretti & Vitali

Marija Gimbutas, “Le dee e gli dei dell’antica Europa”, Einaudi

Andrea Rodighiero, “La tragedia greca”,il Mulino

Karoly Kerenji, “Miti e Misteri”, Bollati Boringhieri

Simone de Beauvoir, “Il secondo sesso”, il Saggiatore

Hannah Arendt, “Vita activa”, Bompiani

Selena Pastorino, “Filosofia della maternità”, Il Melangolo











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