giovedì 07 novembre 2024


22/04/2024 19:15:16 - Manduria - Cultura

La relazione tenuta da Paride Tarentini per le attività del centro di formazione permanente “Plinio il Vecchio” di Manduria

La fine del III sec. a.C. registra il vano tentativo, da parte dei messapi e dei greci-tarantini, di opporsi alla conquista romana.

Taranto e Manduria vengono definitivamente occupate dal console Q. Fabio Massimo (anno 209 a.C.). La potente città magnogreca, saccheggiata, vede la cattura di molti cittadini portati a Roma come prigionieri. Comincia così il declino, anche demografico, dell’antica Taranto che, pur riconosciuta come “municipium” (comunità cittadina legata a Roma con una certa autonomia e con doveri ed obblighi) non ritornò mai ai fasti di un tempo. 

Sorte analoga sembra riguardare la città di Manduria.

T. Livio (Ab Urbe Condita, XXVII 15,4) ne ricorda la conquista da parte dei romani, col trasferimento a Roma di circa 3000 prigionieri: ”Q. Fabius consul oppidum  in Sallentinis Manduriam vi cepit: ibi ad tria milia (1) hominum capta et ceterae predae aliquantum. Inde Tarentum profectus in ipsis faucibus portus posuit castra” (Il console Quinto Fabio prese con la forza la città di Manduria nel paese dei Sallentini. Vi prese prigionieri circa tremila uomini  e vi fece inoltre un cospicuo bottino. Partito quindi per Taranto, pose il suo accampamento proprio all’imboccatura del porto).

Probabilmente la nostra Manduria non ottenne il riconoscimento di “municipium”; lo stesso Livio la menziona come “oppidum” (realtà fortificata ma poco urbanizzata) e Plinio il vecchio (Storia Naturale, II 103, 226) la cita a proposito del Fonte: “In Sallentino iuxta oppidum Manduriam lacum ad margines plenus neque exhaustis aquis minuitur neque infusis augetur” (Nella regione salentina, vicino alla città di Manduria, vi è un lago pieno fino all’orlo, e il suo livello non si abbassa quando se ne attinge acqua, né cresce quando ve ne viene versata).

Gli itinerari la riportano lungo la via Salentina che da Taranto conduceva nel profondo Salento; arteria significativa per gli sviluppi territoriali, soprattutto in epoca messapica, comunque secondaria rispetto  alla via Appia, “regina viarum” che, nel tragitto Taranto - Brindisi, attraversava il territorio più settentrionale di Oria, garantendo a quest’ultima città ed alle sue aree di pertinenza un significativo sviluppo insediativo ed economico.

Pochi ritrovamenti interni al centro urbano di Manduria conducono ad epoca romana, a conferma di un momento di crisi e decadenza attraversato dalla nostra cittadina unitamente ad altri centri messapici, un tempo prosperi e potenti.

Il territorio, però, non appare in abbandono.

Numerosi, infatti, sono gli insediamenti rurali individuati tra Manduria ed il mare, interessati da  ritrovamenti di epoca repubblicana ed imperiale (contrade Terragna, S. Angelo-Acuti, Torre Bianca Piccola, Laccu ti li Ciucci, Bagnolo, Piacentini, Acquasantara, Monache, Bosco Cuturi, Surani, Scorcora, Scalella, S. Pietro in Bevagna-Chidro, ecc.).

Trattasi, per lo più, di  insediamenti sviluppatisi in aree già occupate da precedenti impianti di epoca ellenistica.  E questa continuità di vita tra il IV-III sec. a.C. ed il IV-V sec. d.C. (spesso preceduta da frequentazioni di epoca neolitica) si lega ovviamente ad aspetti economici ed ambientali dei siti interessati, adatti ad attività agricole e di allevamento.

Un dato risulta comunque evidente, l’abbandono (sul nostro territorio, come altrove) dei siti in altura (vedi Monte dei Castelli) maggiormente adatti a scopi strategico – difensivi, non più richiesti da un’epoca profondamente pacificata, all’interno, dal dominio romano.

Si preferiscono aree vallive fertili ed acquitrinose, con impianti posti su ondulazioni, anche minime, del terreno, atte a preservare le aree abitative ed economiche da possibili impaludamenti delle acque meteoriche; non si escludono, altresì, adeguati interventi di bonifica, o di canalizzazione, particolarmente frequenti, tra l’altro, nel mondo romano.

Il momento di crisi al passaggio verso l’epoca romana si riconosce comunque, sul nostro territorio  (come altrove),  nella (seppur limitata) contrazione numerica dei precedenti siti ellenistici ed in una presenza percentualmente esigua delle classi vascolari (a pasta grigia) caratterizzanti il II-I sec. a.C. Segue, poi, una netta prevalenza delle ceramiche di età imperiale (terre sigillate africane), che attestano un perdurare di tali insediamenti nella fase matura e tarda dell’impero (II-III e IV-V sec. d.C.).

Fase che vede, in genere, lo sviluppo di impianti sempre più articolati e complessi, associabili alle ben note ville rustiche romane, con ambienti destinati ad abitazione ed alle varie attività economiche del sito. Vi erano stanze con torchi, cisterne ed orci per la lavorazione e conservazione del vino; stalle per buoi e cavalli; vasche interne per abbeverare gli animali; frantoi; officina da fabbro; bagni con strutture termali, cucine, ecc.

 Le proprietà terriere di pertinenza di tali impianti (presenti anche lungo le nostre coste, toccate, queste ultime, da naufragi e rotte commerciali marittime) erano molto vaste e si incrementarono sempre più con l’affermarsi dei latifondi di epoca imperiale.

Il V-VI secolo d.C. sembra segnare la fine di questo diffuso popolamento rurale. Le campagne sembrano spopolarsi al crollo dell’Impero romano ed all’avvento dell’Alto Medioevo, con le sue turbolenze ed invasioni. In alcuni di questi siti antichi le fonti collocano i casali nascosti nel contado in cui gli abitanti delle città avrebbero trovato rifugio dalla devastazioni dei centri urbani.

Occorrerà attendere l’età Normanno-Sveva per una ripresa graduale del territorio nelle sue componenti urbane e rurali e nelle testimonianze archeologiche e monumentali (chiesette, torri, castelli, cripte, tombe, ceramiche) tipiche dell’epoca; testimonianze presenti, a volte, nelle stesse aree rurali occupate dagli antichi impianti greco-romani, in continuità o sovrapposizioni insediative sempre più documentate nei nostri territori.

Paride Tarentini











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