Il suo centro storico, che potrebbe competere con i più affascinanti borghi del Salento, giace in uno stato di grave trascuratezza, tra mura che cadono, odori molesti, mezzi inabissati, cantieri infiniti ed una generale sensazione di abbandono cronico

Manduria, un tempo fiera capitale messapica, oggi pare aver smarrito sé stessa. Il suo centro storico, che potrebbe competere con i più affascinanti borghi del Salento, giace in uno stato di grave trascuratezza, tra mura che cadono, odori molesti, mezzi inabissati, cantieri infiniti ed una generale sensazione di abbandono cronico. Ciò che dovrebbe essere cuore pulsante della città si presenta, invece, come un corpo stanco, ferito e ignorato, lasciato in uno status quo sine spe.
Lo sguardo del visitatore non incontra la bellezza stratificata dal tempo, ma una malinconica sequenza di facciate scrostate, balconi corrosi, graffiti vandalici e strade di nero asfalto, dove un tempo si stendevano eleganti lastre di pietra. Il basolato originale, che raccontava silenziosamente la storia della città, è stato rimosso o coperto in molte aree, sostituito da interventi banali e dissonanti.
La desolazione regna sovrana: locali chiusi, attività culturali ridotte al minimo, turisti disorientati e un’atmosfera che sa più di declino che di memoria. Una città che si muove a fatica, velut umbra, e che sembra incapace di riconoscere il valore del proprio patrimonio.
All’ingresso della città, ad accogliere i visitatori, inoltre, c’è una triste immagine di trascuratezza istituzionalizzata: la chiesa di San Michele Arcangelo, colpita dalla tromba d’aria del 2018, è ancora oggi imprigionata in impalcature metalliche, come se il tempo si fosse arrestato in quel giorno di tempesta.
Passano gli anni e nulla si muove. Nessuna opera di recupero, nessuna iniziativa concreta, nessuna comunicazione alla cittadinanza. L’edificio sacro, invece di essere restaurato e restituito alla città, resta lì, umiliato. Res, non verba, verrebbe da dire a chi da tempo promette interventi mai realizzati.
Come se non bastasse, Manduria è segnata da un altro fenomeno che ne compromette la vivibilità: gli odori nauseabondi. Nelle giornate calde, l’aria si fa pesante, quasi irrespirabile. Un olezzo che penetra nelle strade, nelle case, nelle narici e nella coscienza di una città che meriterebbe il profumo delle sue vigne, non quello del pattume.
Intanto, tutt’intorno, i paesi vicini rifioriscono. Oria, a pochi minuti di strada, ha saputo riscoprire il valore del proprio centro storico, investendo in restauri, eventi e turismo culturale. Il borgo è oggi vivo, decoroso, animato da un senso di identità civica che a Manduria pare svanito.
Mesagne ha compiuto una trasformazione esemplare: il suo centro storico è un connubio riuscito di cura urbanistica, promozione culturale e partecipazione cittadina. Un modello di come si possa rinascere, partendo dal rispetto della propria storia.
A questo elenco virtuoso si aggiunge anche Francavilla Fontana, che negli ultimi anni ha saputo rivalutare con intelligenza e lungimiranza il proprio centro storico. Il cuore della città è oggi un luogo vivo e vibrante, come Oria, ricco di eventi, spazi ristrutturati, piazze vissute e angoli valorizzati con cura.
E naturalmente Lecce, regina del barocco, dove la bellezza architettonica si fonde con un tessuto urbano vivo, dinamico, culturalmente attivo. Non un miracolo, ma il frutto di scelte, investimenti e visione.
In tutti questi luoghi, si è compreso che la cultura è risorsa e non orpello, che la bellezza non è un lusso ma un dovere, e che la storia non si conserva col silenzio, ma col coraggio di agire.
In questo contesto, Manduria appare immobile, stanca, priva di un progetto urbano degno della sua storia millenaria. Mentre altrove si investe, si progetta, si restituisce dignità ai luoghi e alle persone, qui si assiste a un lento e inesorabile declino. Non per mancanza di risorse, ma per assenza di volontà, visione e coraggio.
La città, con il suo centro storico martoriato, la sua chiesa simbolo dimenticata, i suoi vicoli svuotati e l’aria contaminata, sembra ormai più un monito che una meta.
Eppure, Manduria può ancora risorgere, proprio come l’araba fenice, solo se saprà abbandonare la logica dell’attesa passiva e scegliere, finalmente, di rinascere. Non con slogan, ma con atti concreti. Non con eventi isolati, ma con una strategia urbana e culturale seria, continuativa, inclusiva.
Perché ubi nihil fit, ibi nihil mutatur: dove nulla si fa, nulla cambia.
E Manduria ha bisogno, oggi più che mai, di rinascere.
Simone Faiella


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