venerdì 05 dicembre 2025


13/09/2025 07:47:36 - Manduria - Attualità

«Gesù, chiamandoti al sacerdozio, ti costituisce ausiliatore dei tuoi fratelli e delle tue sorelle, ti chiede di dir loro sempre la verità sulla loro vita, ma di farlo non con la saccenza del cattedratico, ma con cuore umile, cosciente di essere stato guarito e libero da ogni giudizio per non ferire ma per accompagnare con credibilità, con affidabilità, con gioia ed entusiasmo»

Ecco l’omelia del vescovo di Oria, mons. Vincenzo Pisanello, nella celebrazione per l’ordinazione presbiterale di don Cosimo Taurisano.

«La divina Provvidenza ha disposto che la tua ordinazione presbiterale avvenisse in questo giorno in cui la Chiesa celebra il Santissimo Nome di Maria. Secondo una possibile interpretazione, il nome di Maria, nella sua accezione ebraica di “Miryam”, sarebbe la composizione di due termini: «m-‘or» «yam», che significano, rispettivamente, “luce” e “mare”; “Miryam – Luce del mare”. Da questo nasce l’invocazione alla Vergine Santissima con il titolo di “Stella del mare”, o in latino “Maris Stella”.
Ritengo provvidenziale questa coincidenza perché come Sacerdoti abbiamo sempre bisogno di un punto di riferimento nel nostro servizio ministeriale, che può essere ben paragonato ad una navigazione in mare aperto. E come i naviganti, un tempo, si affidavano alle stelle del cielo come punti fissi per scegliere la direzione del loro solcare le acque marittime, così anche noi abbiamo bisogno di punti fermi per non sbagliare la nostra rotta e rischiare di infrangerci sulle insidie del mondo.
Punto fermo privilegiato per il nostro sacerdozio è il riferimento alla Madre di Gesù, l’eterno Sacerdote, a Colei che lo ha educato ed è stata, poi, donata a noi come Madre e noi affidati a Lei come figli. Sicché possiamo invocarLa come Madre dei Sacerdoti e come Stella del nostro ministero sacerdotale.
Qual è il suo insegnamento? La prima virtù che ci insegna Maria con la sua vita e con la sua preghiera - che possiamo contemplare nel cantico del Magnificat - è l’umile servizio al prossimo. Maria si mette in viaggio verso la casa della cugina Elisabetta, incinta di Giovanni Battista, per mettersi a suo servizio per tutto il tempo necessario.
Caro Don Cosimo, nell’omelia dell’ordinazione diaconale, ti avevo esortato ad appropriarti del ministero diaconale, cioè di servizio, in cui venivi introdotto, facendolo diventare caratteristica continua e costante della tua vita anche dopo l’odierna ordinazione sacerdotale. So che molto hai camminato in questa via.
Ed è proprio in questo giorno, nella memoria del Santissimo Nome di Maria, che la Madonna ti esorta ad essere un Sacerdote che serve, un Sacerdote diaconale. E lo fa mettendo la sua testimonianza nella tua coscienza sacerdotale e proteggendoti come figlio prediletto.
Ti prego, mio caro don Cosimo, non distogliere mai i tuoi occhi dalla Vergine Madre, dalla “Maris Stella”, dal punto di riferimento del tuo essere Sacerdote; non permettere mai che la corona del Santo Rosario scivoli via dalle tue mani. Rifugiati con fiducia sotto il suo manto e fatti ripetere in continuazione, perché tu possa esserne pienamente consapevole, ciò che disse un giorno ai servi a Cana di Galilea: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela!” (Gv 2, 5).
Fai tua l’esortazione di San Bernardo:
Nei pericoli, nelle angosce, nei dubbi, pensa a Maria, invoca Maria. Che ella non si allontani mai dalla tua bocca, non si allontani mai dal tuo cuore, e, per ottenere il soccorso della sua preghiera, segui l’esempio della sua vita. Seguendo lei non devierai, pregando lei non ti scoraggerai, pensando a lei non sbaglierai; se lei ti tiene per mano non cadi, se lei ti protegge non temi, se lei ti fa da guida non ti affatichi, se lei ti è favorevole arrivi al porto. Così in te stesso sperimenterai quanto è giusta questa parola: «E il nome della Vergine era Maria»”. (Hom. 2, 17, 1-33: SCh 390, 1993, 168-170).
Che anche tu, con San Paolo, possa gridare con la tua vita le parole che abbiamo ascoltato nella prima lettura: “Rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia” (1Tm 1, 12-13a).
Quando ero seminarista, nella lettura del Giornale dell’Anima, tra le diverse confidenze di Papa Giovanni XXIII, mi aveva colpito ciò che egli annotava durante gli esercizi spirituali in preparazione all’ordinazione sacerdotale, avvenuta il 10 agosto 1904. Desidero, questa sera, farti dono di quei sentimenti di questo grande Santo, di cui sei devoto, perché li possa fare tuoi. Cito:
«Ho meditato specialmente sulla santa indifferenza, alla quale ho pure posto attenzione in altri esercizi; ma quanto alla pratica sono sempre rimasto a zero. Iddio mi preserva dal cadere in peccati gravi che io commetterei certamente con grande facilità. Protesto anche di voler attendere alla perfezione, ma vorrei di fatto che la via della perfezione venisse tracciata da me e non da Dio. In fondo, tutte le mie paure e i miei turbamenti di quest’anno per gli studi, per il pericolo di un richiamo da Roma, le ragioni anche a cui io tentavo di ricorrere, confermano questo fatto. Altre le parole ed altri i fatti. La mia indifferenza deve essere gran semplicità di spirito, prontezza a qualunque sacrificio, e poca filosofia; preghiera soprattutto e confidenza in Dio.
Mi devo guardare, specialmente quando le cose non mi vanno a seconda, dallo sfogarmi con chicchessia, a meno che non fosse con chi dirige il mio spirito o che in qualche modo mi può aiutare. Nel discorrere con altri si perde tutto il merito che mi potea acquistare. La santa letizia poi non mi deve mai abbandonare.[…]
Che cosa sarà di me nell’avvenire? Sarò un bravo teologo, un giurista insigne, un parroco di campagna, oppure un semplice povero prete? Che importa a me di tutto ciò? Devo essere niente di tutto questo ed anche più di questo secondo le disposizioni divine. Il mio Dio è tutto: “Deus meus et omnia”. Tanto e tanto, i miei ideali di ambizione, di bella figura dinanzi al mondo, ci pensa il buon Gesù a mandarmeli in fumo.
Io sono uno schiavo: non posso muovermi senza la volontà del padrone. Iddio conosce i miei talenti, tutto quello che io posso o non posso fare a gloria sua, pel bene della chiesa, per la salute delle anime. Non è necessario dunque che io gli dia dei consigli nella persona dei suoi rappresentanti, quali sono i miei superiori». Sin qui le considerazioni di San Giovanni XXIII.
Che grande virtù, la santa indifferenza, che non è ignavia, indolenza o viltà, ma è consapevolezza di dover stare nelle mani di Dio con grande fiducia e senza pretese, felici di servirLo dove Lui, con le vicende della storia, ci mette a lavorare. Che bella considerazione si può avere di se stessi sapendoci strumenti nelle mani di Dio e che operano come Dio vuole.
Caro Ordinando, solo coltivando la santa indifferenza non si rischia di diventare cieco, costretto cioè a vedere solo le proprie fantasie perché non si ha il contatto diretto con la realtà che ci circonda e non si percepiscono i pericoli cui si va incontro. E si diventa, così, un cieco che guida altri ciechi! Il rischio grandissimo è quello di far cadere nel fosso non solo noi stessi ma anche chi ci è affidato in cura pastorale per condurlo a Dio! Ce lo ha insegnato Gesù nel Vangelo che abbiamo ascoltato poco fa. Dobbiamo ben prepararci per essere come il nostro Maestro, guide sagge e generose che sanno vedere ed individuare i percorsi per l’eternità, non solo per averne studiate le mappe sui libri, ma soprattutto per averli frequentati costantemente, scegliendoli come uniche vie importanti della propria esistenza! Percorsi per l’eternità che vediamo bene, perché abbiamo avuto il coraggio di farci aiutare a togliere dai nostri occhi la trave della superbia, dell’orgoglio, della vanità, dell’avidità, della lussuria, della permalosità, dell’invidia, della gelosia, della mediocrità, dell’accidia. Vizi tutti che ci rendono ciechi! E quando è stata tolta la trave dai nostri occhi, allora possiamo servire chi ci è affidato, togliendo dal loro occhio la pagliuzza che impedisce una vista limpida ed un cammino spedito.
Caro don Cosimo, come costituenda guida di comunità, perché tale è il Sacerdote, devi essere consapevole di essere sempre in cammino, non devi mai smettere di aver bisogno di imparare, di lasciarti correggere, di metterti in discussione. Gesù, chiamandoti al sacerdozio, ti costituisce ausiliatore dei tuoi fratelli e delle tue sorelle, ti chiede di dir loro sempre la verità sulla loro vita, ma di farlo non con la saccenza del cattedratico, ma con cuore umile, cosciente di essere stato guarito e libero da ogni giudizio per non ferire ma per accompagnare con credibilità, con affidabilità, con gioia ed entusiasmo.
Nella preghiera di ordinazione, che fra poco pronuncerò su di te, la liturgia, ricordando il cammino dell’Esodo, durante il quale Dio comunicò a 70 uomini saggi e prudenti lo spirito di Mosè perché egli potesse più agevolmente guidare il popolo con il loro aiuto, fa chiedere per l’ordinando le seguenti prerogative:
“Siano degni cooperatori dell’ordine episcopale, perché la parola del Vangelo mediante la loro predicazione, con la grazia dello Spirito Santo, fruttifichi nel cuore degli uomini e raggiunga i confini della terra.
Siano insieme con noi fedeli dispensatori dei tuoi misteri, perché il tuo popolo sia rinnovato con il lavacro di rigenerazione e nutrito alla mensa del tuo altare; siano riconciliati i peccatori e i malati ricevano sollievo.
Siano uniti a noi, o Signore, nell’implorare la tua misericordia per il popolo a loro affidato e per il mondo intero. Così la moltitudine delle genti, riunite in Cristo, diventi il tuo unico popolo che avrà il compimento nel tuo regno”.
Dunque:

  1. “Siano degni cooperatori dell’ordine episcopale”.
  2. Siano insieme con noi fedeli dispensatori dei tuoi misteri”.

“Siano uniti a noi, o Signore, nell’implorare la tua misericordia per il popolo”.
Caro Ordinando, in questi tre passaggi, con il riferimento ai coadiutori di Mosè, è spiegata la configurazione del Sacerdote. E la spiegazione non è una didascalia ma è la preghiera che costituisce il Sacerdote, che gli dona lo Spirito Santo, che lo rende “alter Christus”. Il Sacerdote non è indipendente, autonomo, libero di esercitare il ministero a proprio piacimento: è cooperatore del Vescovo; insieme con lui deve dispensare i misteri di salvezza e unito a lui deve implorare la misericordia per il popolo.
Non si tratta di una dipendenza funzionale ma ontologica: solo nella piena comunione con il Vescovo, non formale ma reale e filiale, il Sacerdote può esercitare il proprio ministero. Questa, caro don Cosimo, non è norma giuridica positiva, e quindi opinabile ed eventualmente modificabile, ma costituzione divina perché queste prerogative è lo Spirito Santo che te le concederà con la preghiera di ordinazione. Accoglile, pertanto, con timore e tremore!
Nell’attuale tempo storico, nel quale, con sempre maggiore insistenza, si afferma, erroneamente, la piena e totale indipendenza ed autonomia di ogni persona dall’altro, la testimonianza che come Sacerdoti siamo chiamati a dare in questo campo è particolarmente rilevante. Ogni Sacerdote deve agire in piena comunione con il Vescovo e sotto la sua autorità, facendo così sperimentare l’intimità della vita trinitaria, dove ognuna delle Persone divine si mette nelle mani delle Altre per puro amore. Questa è la vocazione del Presbiterio, del quale fra poco farai parte e che sei chiamato, da questa sera, a costruire con tutto te stesso. I tuoi fratelli ti imporranno le mani perché abbia consapevolezza che è lo stesso Spirito che anima tutto il Presbiterio e scambiando il segno di pace con loro sperimenterai l’accoglienza sacerdotale e il desiderio di essere uno, insieme con il Vescovo, uniti a Cristo.
Questa è da oggi la tua vita! Per sempre!
Sento il desiderio, ancora una volta, di ringraziare tutti coloro che hanno avuto cura di te: i tuoi Genitori, i tuoi Parroci e i Sacerdoti che ti hanno guidato, il Rettore e gli altri Superiori del Seminario di Bergamo.
Veglino su di te la beata Vergine Maria della Fontana, i Ss. Medici Cosma e Damiano, San Barsanufio, San Giovanni XXIII, San Giovanni Bosco e il beato Bartolo Longo. Amen».