giovedì 25 aprile 2024

12/02/2018 13:27:04 - Manduria - Cultura

Un ricordo della nostra concittadina, una voce nel silenzio dei vivi

 

Non basteranno tutti gli anniversari della Giornata della Memoria per tornare a raccontare con sgomento misto a stupore la terribile esperienza dei lager nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale.

Vent’anni fa arrivò la preziosa testimonianza di una mite e forte donna di origini austriache, Elisa Springer, il cui marito era originario di Manduria. La sua vita, iniziata giusto un secolo fa (il 12 febbraio del 1918), è stata condizionata dal peso dei ricordi drammatici della reclusione di Auschwitz e in altri campi di concentramento.

Al pari di Liliana Segre, anche la Springer era rimasta in silenzio per quasi cinquant’anni: raccontare quelle atrocità e dire che era riuscita a superarle miracolosamente avrebbe incontrato una maggioranza di increduli e le avrebbe procurato un mura di diffidenza. Fu il suo unico figlio, Silvio, morto prematuramente prima della madre, a sollecitare la Springer a rendere pubblico quello che si era tenuto dentro per decenni.

Fu in questo modo che nacque il libro-testimonianza “Il silenzio dei vivi” (Marsilio, 1997), in cui Elisa potè rivelare il lungo segreto del suo tormento che era iniziato nell’estate del 1938. La donna, allora ventenne, si trovò la strada sbarrata e di lì a poco anche priva dei genitori, ingoiati uno alla volta dal vortice delle deportazioni. Si ritrovò allora a vagare di paese in paese, finchè non arrivò a Milano durante il periodo più buio dell’occupazione nazista e della guerra civile. Malgrado tutte le precauzioni, fu arrestata nell’estate del 1944 e costretta a salire su uno dei famigerati treni diretti ad Auschwitz.

Destinata al campo femminile annesso a Birkenau, ebbe la ventura di incontrare in una delle sue tetre baracche, con centinaia di recluse, Anna Frank, che lei descrive come una ragazzina ischeletrita e in predo a un continuo pianto per l’impossibilità di disporre di un mozzicone di matita e di un po’ di carta per continuare il suo diario.

La sua salvezza, malgrado le condizioni disumane e le ripetute visite di controllo del dottor Mengele, fu la conoscenza del tedesco (una condizione molto simile a quella di Primo Levi), un forte carattere che le permise di resistere insieme ad un’amica inseparabile e la fibra fisica che la mise in grado di superare senza farmaci un micidiale attacco di tifo petecchiale.

Elisa Springer si ritrovò così il 9 maggio 1945 nel campo di Terezin, ormai liberato dai russi, confortata da una confezione di cioccolata distribuita dalla Croce Rossa. Fu la resurrezione in un mondo ormai diventato diverso, sconvolto da distruzioni immani e col conto inimmaginabile di cinquanta milioni di morti. E’ stato calcolato che dei quasi settemila ebrei italiani caduti nelle maglie persecutorie dei tedeschi e dei collaborazionisti della Repubblica di Salò e deportati nell’Europa orientale, solo 450 furono quelli che riuscirono a ritornare.

Elisa Springer fu evidentemente una di questi ultimi, ma il suo ritorno (come di tanti altri), alla vita normale fu difficilissimo, sia sul piano materiale che psicologico. Per molto tempo, come racconta in un’intervista, ella temeva nelle sue uscite per strada di essere ancora seguita da occhi occulti. Richiuso questo drammatico capitolo della sua vita nel fondo della coscienza, la Springer decise di riaprirlo soprattutto per il dovere morale di comunicare quella sua esperienza ai giovani.

E’ stato così che, dopo la pubblicazione del suo libro, a cui è seguito “L’eco del silenzio” (Marsilio, 2003), si è dedicata con tytte le sue forze alla divulgazione degli orrori subiti nell’immenso campo della morte di Auschwitz-Birkenau. Sono stati gli stessi anni degli incontri con Giovanni Paolo II e Madre Teresa di Calcutta, dei quelli dei numerosi appuntamenti nelle scuole italiane.

Dopo la sua morte nel 2004 a Matera, la sua ricca raccolta di documenti e riconoscimenti riposa presso la Fondazione intitolata a questa donna mite e coraggiosa, che venne in Puglia per amore del marito e scrisse la sua storia per amore del figlio e delle future generazioni.









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