marted́ 15 ottobre 2024


01/09/2024 08:50:53 - Manduria - Cultura

L’articolo di “Silvanus” (Eugenio Selvaggi) pubblicato nel 1933 sul numero unico “La Sagra di San Gregorio”

Il 3 settembre 1933, in occasione delle celebrazioni per la festività del Santo Patrono, venne pubblicato a Manduria un foglio giornalistico, numero unico, dal titolo «La Sagra di San Gregorio». Si tratta di un giornale di quattro pagine, di grande formato, colore arancione, edito dalla locale sezione del Comitato Nazionale Italiano per le Arti Popolari, curatore principale Eugenio Selvaggi (giornalista, collezionista, cultore di storia patria), redattore Fernando Valente (con lo pseudonimo di Ferva). Di alcuni articoli contenuti nel foglio (una poesia di Francesco Nasuti dal titolo “La storia di San Gregorio”, una fiaba popolare dal titolo “Lu cuntu ti Pirillu” di Salvatore Chimienti) si è scritto su questa pagina negli anni scorsi.

Quest’anno si riserva attenzione ad un articolo dedicato ad una tradizione popolare, già scomparsa al tempo in cui “Silvanus” (Eugenio Selvaggi) scriveva l’articolo: “L’albero della cuccagna”. *

Di seguito, se ne riporta il testo.

L’albero della cuccagna

«Si piantò, sin quasi trent’anni or sono, dinanzi al Palazzo Municipale, a Manduria, per la festa del Santo Protettore in mezzo al «Largo» — ora con mattoni ingentilito a piazza — così come in altre città si voleva fare nel giorno dello Statuto.

Era un palo ben alto e levigato, come albero di nave, ed unto di sego e di sapone da cima a fondo. Sull’alto veniva fissato un cerchio dal quale pendeva un taglio di panno per vestito, un fazzoletto, un fucile da caccia, del formaggio, una borsa con qualche moneta, una bottiglia di vino ecc. a titolo di premio a chi fosse capace di salire lungo l’albero, sino in cima, a prendersi quel capo che gli riuscisse più gradito.

Nelle ore pomeridiane, in mezzo ad una calca di curiosi, si presentavano i concorrenti a tentare con la propria abilità la fortuna. Muniti di sacchetti pieni di cenere o d’arena, cominciavano, dopo i primi inutili tentativi, a strofinare e a salire. Non pochi, arrivati a certa altezza, o stanchi o delusi, scivolavano in basso mentre altri ricominciavano la prova tra i lazzi, gli sberleffi del pubblico e gli incitamenti delle combriccole.

Infine, qualcuno arrivava, ed era allora un applauso assordante e maleducato. Dopo il primo, — poiché l’unto cominciava ad essere passato dall’albero agli abiti di quei singolari strenui campioni — altri riuscivano con minori difficoltà a superare la prova, accompagnati da imprecazioni e volgarità elargiti dagli scontenti.

In seguito, un po’ per le mutate condizioni finanziarie ed anche per lo spettacolo poco civile che offriva il popolo chiassoso e volgare fu privato dell’allegro divertimento dell’albero della cuccagna, che a me sembra, se non originale certo simbolo di quella libertà apportataci dalla rivoluzione del 1799».

L’articolo si chiude con una domanda aperta del suo illustre Autore: «Quest’anno (1933) si è voluto farlo rivivere per la festa di S. Benedetto, perché non ripristinarlo per quella di S. Gregorio?»

 

* Un riferimento alla tradizione del “palo della cuccagna” è contenuto nel volume “La festa di S. Gregorio Magno” di Mario Annoscia (Libreria Messapia, Manduria 1988), dove a p. 33 leggiamo: «Nel decennio 1830-40 si aggiungono altre distrazioni: piccoli palloni aerostatici, l’albero della cuccagna davanti al palazzo Imperiale (…)».











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