«Sacralità, resilienza e autenticità. È un piccolo paese che racchiude l’anima profonda del Salento, tra storia millenaria, arte nascosta e tradizioni vive»

Erchie, un paesino che, custodisce una storia millenaria, tradizioni vive e testimonianze artistiche e archeologiche di inestimabile valore. A guidarci in questo viaggio tra mito, pietra e memoria sarà la voce autorevole della dottoressa Nazarena Savino, archeologa, storica dell’arte e divulgatrice culturale, che ci accompagnerà attraverso le epoche per raccontare Erchie non solo come luogo geografico, ma come crocevia di civiltà, spiritualità e identità salentina. Quello che segue è un racconto che unisce il rigore scientifico alla passione per la cultura, con l’obiettivo di valorizzare un territorio spesso poco conosciuto, ma ricco di tesori che meritano di essere riscoperti e raccontati.
Dottoressa, oggi ci porta alla scoperta di un piccolo comune dal grande passato: Erchie, in Puglia. Ci racconta cosa rende così speciale questo paese?
«Certamente. Erchie è un paese apparentemente modesto, ma nasconde una stratificazione storica e culturale sorprendente. Le sue origini risalgono al Neolitico, un’epoca in cui il culto del dio Ercole era già radicato. Pensiamo che il toponimo stesso derivi da Hercolanum o Heracle, nomi legati appunto a questa divinità. Questo ci dà subito un’idea della sua antichità e del suo valore come luogo sacro e simbolico».
E come si è evoluta poi la storia di Erchie nel tempo?
«Dopo l’epoca neolitica, il territorio fu integrato nel mondo romano, ma perse importanza a causa della vicinanza con grandi centri come Tarentum e Mandurium. Tuttavia, ciò che rende davvero affascinante la storia di Erchie è la sua capacità di rinascere. Nel X secolo, per esempio, arrivarono dei monaci basiliani che costruirono il santuario di Santa Lucia, introducendo anche il culto di Santa Irene, patrona del paese».
Curioso che proprio i monaci basiliani abbiano lasciato un segno così tangibile…
«Sì, e non solo spirituale. Abbiamo testimonianze materiali molto significative, come la Grotta dell’Annunziata, dove si rifugiarono e lasciarono affreschi e un altare, rendendola un vero e proprio monumento nazionale di III categoria. Anche la Grotta del Presbiterio, o del Padreterno, è un incredibile documento del passaggio neolitico e messapico».
E dal punto di vista artistico, quali sono i luoghi imperdibili?
«Sicuramente la chiesa Madre della Natività della Vergine Maria. Nata nel XVIII secolo, è stata ampliata nel 1706 per accogliere più fedeli. Al suo interno troviamo opere molto suggestive come L’Agonia di San Giuseppe e la Madonna della Consolazione. Un altro luogo simbolico è il monumento del Calvario, realizzato nei primi anni del ‘800 e arricchito nel 2008 con pannelli decorativi a tema sacro».
Veniamo ora alla tradizione gastronomica. Cosa ci dice in proposito?
«Ah, qui entriamo nel cuore del Salento! Erchie conserva una cucina tipica semplice ma gustosa. Pensiamo alle orecchiette, ai pizzarieddi o alla tria, spesso accompagnati da cicoria, pecorino o ragù di carne di cavallo. In estate, la cacioricotta è regina delle tavole. Un vero tuffo nei sapori della memoria».
Non possiamo non parlare delle tradizioni religiose. Ce n’è una in particolare che colpisce molto…
«Si, parlo della “Mattra” durante la festa di San Giuseppe, il 19 marzo. È una tradizione antichissima: tavoli carichi di cibo vengono allestiti lungo le strade. La mattra, antica cassa per impastare il pane, diventa simbolo di abbondanza e solidarietà. Anche la festa di Santa Irene, il 5 giugno, ha origini molto suggestive, legate a un episodio miracoloso del 1897, quando la santa avrebbe salvato il paese da un ciclone».
Dottoressa, se dovesse descrivere Erchie in tre parole, quali sceglierebbe?
«Direi: sacralità, resilienza e autenticità. È un piccolo paese che racchiude l’anima profonda del Salento, tra storia millenaria, arte nascosta e tradizioni vive».
Grazie, dottoressa, per questo viaggio appassionante. Non ci resta che partire per Erchie!
«Grazie a voi. Vi aspetta un angolo di Puglia dove il tempo sembra essersi fermato, ma dove ogni pietra racconta una storia».


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