lunedì 06 maggio 2024

21/11/2009 18:36:18 - Manduria - Speciale

C'era una volta un mercato

I miei ricordi di bambino si fermano, si perdono e si confondono tra la folla oceanica di persone che si rincorrono per accaparrarsi la primizia di un frutto atteso per una settimana o uno scampolo di stoffa “buona” ma a buon mercato che prefigurava un abito che lentamente, ma concretamente, prendeva forma nei sogni nello stile, nella forgia e nei colori. I miei occhi di fanciullo hanno
catturato per sempre i piccoli quadretti di una realtà lontana in cui si mescolava folclore e concretezza agli angoli delle strade tra la via per Oria, dove attualmente si trova Piazza Giovanni XXIII volgarmente conosciuta come Piazza Tubi, e l’ultimo tratto del convento dei Padri Passionisti, dove i mercanti con il loro slang particolare rubato un pò alla strada un pò alla televisione in bianco e nero, anticipando in quanto antesignani, pionieri o profeti retrò, i moderni teleimbonitori che includono nel prezzo dell’ultima offerta anche la conseguente fregatura, cercavano di campare accaparrandosi la fedeltà dei loro clienti ai quali rifilavano con arte la biancheria ad esempio,
classificandola con in nomi di grido dei divi delle telenovelas argentine o brasiliane.

Sapete, infatti, quanti manduriani hanno felicemente ed orgogliosamente indossato le mutande di Luis Antonio e di Mariana, che si erano imparentati con le famiglie italiane agli inizi degli anni ‘80, rubando il primato di innamorati sfigati a Renzo e Lucia di manzoniana memoria con le loro
intricate ed interminabili vicende sentimentali?
Proprio per il suo ruolo sociale era atteso sette giorni, perché il desiderio di comperare ciò che era
stato scritto nella lista degli acquisti si accompagnava al desiderio di incontrare la comare se non altro per il piacere di sparlare un tantino, lamentandosi dei rispettivi affari di famiglia o finanche per avere la certezza che tutti i conoscenti fossero ancora su questa terra. E per il suo essere a portata di mano di tutti, si vedevano ancora uscire di casa le madri con le figlie, prima che di tale assenza di rapporto si parlasse nei talk show, correre per acquistare la dote più sontuosa, le scarpe da mettere in occasione delle feste, l’occorrente per la campagna sulle bancarelle di cui resta qualche sbiadito ricordo nelle menti degli anziani tanto sono diventate desuete.
Forse si è compreso che stiamo parlando dell’atteso martedì manduriano, unico privilegio concesso al portafogli, in cui una parte dei sogni potevano realizzarsi visto che c’era ancora qualcosa da trovare in quel portafogli, una festa agognata 7 giorni vissuta fino in fondo, fino all’ultima bancarella da
saccheggiare a tarda ora, mentre nelle prime ore del mattino si era consumata la corsa dei mercanti all’ottenimento del posto consueto della vicina preferita, che poteva garantire facile accessibilità al bagno in caso di bisogno, refrigerio d’estate con una bevanda o dell’acqua fresca o caldo d’inverno con un caffè bollente, segno e testimonianza di un tempo vissuto e fatto ancora di rapporti.
Poi la grande rivoluzione mandata giù a bocconi amari del suo trasferimento presso l’attuale area mercatale, dopo la  incerta peregrinatio di qualche periodo volta a cercare un'area ottimale in cui
ritornare a vivere quella festa per non soffocare le abitudini dei nostri concittadini manduriani. Da lì il declino di quel pullulare di anime e desideri che abbiamo descritto, che hanno lentamente ceduto il passo ad un più disinteressato, anonimo e privato della sua identità storica dell’attuale mercato del martedì che non riesce nemmeno a tenere il passo con il diretto concorrente del sabato francavillese, in cui si riversano le più moderne casalinghe che dello spirito genuino dello loro antenate hanno ben poco.
Guardare dall’alto il nostro mercato, mentre ci si trova nella parte più esposta del cavalcavia, proprio quella dove l’ingresso nella direzione opposta lo allontana dalla vista, vuol dire vedere la carcassa che si consuma lentamente di un animale nel deserto. Ciò che rimane del suo articolato viottolo di vie e di bancarelle lo si ritrova negli storici mercanti, ostinati afecionados, che si stipano lungo il perimetro dell’area mercatale fermandosi all’ingresso di una grande voragine, eloquente segno dell’assenza di chi ha scelto diversamente. L’immenso spazio di cui ciascuno gode e a cui è innaturale abituarsi, offre l’opportunità di scorgere un nuovo mondo di intendere l’arte del mercanteggiare condizionata anch’essa dall’arrivo dei mercanti extracomunitari, che con le loro vere finte griffes regalano a donne e ragazze il miraggio di prodotti all’ultima moda visti in tv nel corso di una sontuosa e dispendiosa sfilata di moda che si concilia benissimo con i portafogli vuoti, i bagni inutilizzabili per via della loro sporcizia e l’odore di cotto all’istante del furgone dei panini che si è posto nel centro del vuoto forse perché spera che una lunga fila di affamati clienti ne occupi lo spazio libero.
E dove sono quelle belle frasi, concitate, folcloristiche inneggianti alla bontà del prodotto venduto che hanno ceduto il posto ad espressioni più moderne che hanno reso trendy ciò che prima era bello ed utile o appetibile ed immensamente desiderato ciò che non né utile né bello, ma proprio per questo
tanto ricercato?
Questo è rimasto del nostro vecchio mercato, simposio di mercanti stranieri, che al di là di qualsiasi discorso legato al razzismo che mal si concilia con una politica dell’accoglienza e di rispetto umano pur nella differenza, cercano di arrangiare la giornata pure loro tra l’indifferenza di chi di tanti oggetti strani non sa cosa farsene ed il fascino che quegli stessi oggetti esercitato su chi prefigura angoli etnici all’interno delle nostre omologate ma per questo belle case del sud. Ed alla fine della giornata, quando i netturbini spazzano via la fatica di una giornata, nel bidone della spazzatura ci finiscono anche le immagini riportate in questo articolo, che, lentamente, spengono i riflettori del nostro passato.

Mimmo Palummieri








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