lunedì 06 maggio 2024

25/11/2009 11:07:26 - Manduria - Speciale

Fra tradizione e storia, una … gustosa ricerca su una pietanza semplice ma ricercata

 
Bentornato Natale.
Farina bianca mista a farina di semola, un pizzico di sale, acqua in proporzione, lievito di birra, buona compagnia e la mano sapiente di massaie capaci di fare il loro mestiere ed il piatto è pronto. Ecco le tradizionali pettole di Santa Cecilia, e siccome, come si sa, tutti i salmi finiscono in gloria, ecco servita la solita buona dose di sacro e profano in prossimità delle feste come contorno alla ricetta di rito.
Riuscire a stabilire una corretta interpretazione delle varie leggende che associano la Santa al suo ruolo di protettrice dei musici in un giorno in cui il profumo delle pettole si impossessa delle cucine e per giunta attribuendo l’uno e l’altro fatto l’incipit del Natale è cosa praticamente impossibile, perché significa pretendere di arbitrare un match in cui verità storiche, o presunte tali, e tradizioni, o presunte tali, si contendono il ruolo marchio di fabbrica originario e non più producibile di ogni ipotesi in oggetto.
Possiamo però fare un pò d’ordine cominciando col dire che questa commistione di sacro e profano relativamente al tema in questione è tutta tarantina, almeno per quel che riguarda l’uso delle massaie della nostra provincia di preparare le pettole il 22 novembre, festa canonica di Santa Cecilia. La tradizione popolare, che come al solito è fonte inesauribile di informazioni, tramanda che, all’origine delle pettole, ci sarebbe stata la disperazione di una massaia, la quale, solleticata e affascinata dai suoni delle zampogne dei pastori transumanti d’Abruzzo transitanti per le nostre terre, avrebbe dimenticato la pasta del pane che stava preparando, la cui soverchia lievitazione l’aveva resa poco adatta a tale destinazione.
Furiosa per la rabbia, l’arzilla madamigella avrebbe fatto a pezzi la pasta gettandola nell’olio, pensando di sbollire, è proprio il caso di dire, la sua collera, senza sapere che da quel dì in poi la sua iracondia avrebbe donato ai nostri palati raffinati la gioia di un così allettante piatto il cui nome sarebbe derivato dalla pitta, dalla pasta cioè per pizza derivata dalla lievitazione eccessiva del suo pane.
Il perché poi questo piatto venga preparato nel giorno di Santa Cecilia, alla cui ricorrenza viene attribuito il ruolo di ouverture del Natale, questo non ci è dato sapere, benché i Tarantini, a ricordo di questi eventi, facciano passare la banda per risvegliare i cittadini proprio nel giorno in cui si festeggia questa santa e preparino questa leccornia.
Incerta anche la ragione per cui si sia attribuita a Santa Cecilia la protezione dei musicisti: alcuni stabiliscono per un errore di interpretazione dell’antifona d’ingresso che la chiesa canta nei salmi il 22 novembre, altri affermano per il suono soave del suo nome.
Come al solito la tradizione non scritta ha la meglio, fino a trovare comunque una spiegazione più o meno plausibile che ci rende tutti facilmente e felicemente creduloni a beneficio di pance e palati sazi indipendentemente dal ruolo che il Natale avrebbe in tal senso specie nel giorno di Santa Cecilia o di qualsiasi altra corretta interpretazione dei fatti. Fatta la scorpacciata di leggende e storie più o meno provate, non mi resta che augurare a tutti buon appetito e felice Natale.
 
Mimmo Palummieri








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