giovedì 16 maggio 2024

12/12/2009 11:08:18 - Provincia di Taranto - Cultura

E’ in replica, in questi giorni, presso il teatro Padre Turoldo di Taranto

Non solo intrattenimento ma autentica lezione di riflessione linguistica impartita agli alunni ed agli insegnanti della scuola primaria pugliese e non solo.
Questo il nuovo successo firmato dal regista Antonio Minelli e dalla sua Compagnia delle Vigne. Al regista, ligure di origini, ma pugliese di adozione, fortemente attaccato al sud dell’Italia, che egli ritiene il sunto di tutte le meraviglie del mondo, dobbiamo i successi, oltre che di numerose campagne pubblicitarie nazionali, anche delle riproduzioni storiche legate a vicende della nostra terra, che gli hanno consentito di impinguare il suo carnet di successi già peraltro di tutto riguardo.
Ora, questo impegno nuovo di zecca intitolato “La casa degli errori”, liberamente ispirato ad un racconto di Gianni Rodari, “Il Libro degli Errori”, in replica in questi giorni presso il Teatro Padre Turoldo di Taranto, dove si alternano le scuole della nostra provincia, benché sicuramente esportato fuori dai confini regionali.
Commedia degli equivoci, in cui l’impianto scenico e teatrale è stato progettato in chiave didattica, permettendo ad alunni ed attori di interagire costantemente, stabilendo un vero e proprio scambio di ruoli, attore-platea, pubblico-palco, vera e propria  novità che riscrive i consueti criteri di rappresentazione teatrale, poco rispondenti ad una logica tradizionalmente più ortodossa.
Le attrici, 4 in tutto, in barba a qualsiasi mancato rispetto delle quote rosa, espulsi i colleghi uomini, hanno dato prova che volare in alto si può quando, masticando esclusivamente pane e teatro, si costruisce la propria professionalità sulla sana gavetta, solo gavetta e soltanto gavetta, restituendo un valore al talento, sorta di gene in più che c’è o non c’è se si vuole costruire una duratura carriera, a dispetto del proliferare di tanti talent show che bruciano in un attimo quanto costruiscono in molto meno.
Solo in questo modo può essere spiegato il severo e pignolo equilibrio giocoso creato dalle forme di linguaggio portate in scena, da quello esclusivamente verbale, se vogliamo marginale rispetto a quello cinesico e prossemico coreografico in senso stretto della danza, a quello del canto, intonato dall’inizio alla fine, dosati con equilibrio, armonico mélange di più arti  in cui si sono cimentate le attrici complete e professionali al punto giusto nelle  dinamiche teatrali, anche quando dovevano esibire conoscenze di stretta competenza scolastica.
Particolarmente studiati i dialetti usati nei rispettivi ruoli dalle attrici, il sardo, il veneto, il pugliese e soprattutto l’italiano, lingua in via di estinzione, che nello spazio limitato del teatro hanno rappresentato un’intera nazione, l’Italia, unica vera attrice della rappresentazione, percepita ma non realmente presente sul palco rappresentata da una sapiente ispettrice, sindacalista convinta pronta a rivendicare il maggiore rispetto del suo antico idioma, il cui degenerare spinge il mondo verso la caduta.
Da qui la costruzione metaforica del racconto, che partendo dagli equivoci causati omettendo, aggiungendo, storpiando, togliendo, vocali, accenti, mutine, doppie, vocali, finisce con  il coinvolgere tutta la conoscenza non esclusivamente accademica, ma più legata al rispettoso vivere civile, in cui devono essere rimossi i facili pregiudizi di cui si è vittime quando i giudizi vengono prima del sapere e quando l’orrore dell'errore finisce con l’essere una consuetudine e l’unica norma di riferimento possibile.
Se morale della favola ci deve essere meglio agire per tempo ritrovando un rapporto emozionale con il linguaggio per costruire ponti di relazioni e non barriere, viziato com’è da interpretazioni fallaci lontane dalla realtà. Benché lo spettacolo abbia incontrato il favore del pubblico, resta amara la riflessione del regista Minelli, che raccogliendo le impressioni della sua compagnia, denuncia una pericolosa assenza da parte delle nuove generazioni di una cultura teatrale basata sul rispetto dei tempi scenici della rappresentazione, sulle regole che ne determinano lo svolgimento, evidente carenza della scuola italiana forse poco attenta all’importanza di docere utilizzando il linguaggio teatrale, esperienza spesso storpiata dal proliferare di corsi improvvisati di teatro attivati quale forma di babysitteraggio a buon mercato per il bullo di turno.
Questo l’amaro bilancio del regista pugliese a tutti gli effetti, che si auspica una maggiore attenzione da parte delle istituzioni verso la forma di espressione culturale italiana per eccellenza, qual è appunto il teatro.
E noi, memori di una storia che affonda le sue radici profondissime proprio nel teatro, dove si sono consumate quelle lotte che hanno cambiato il volto del nostro Paese, non possiamo non appoggiare l’invito di Antonio Minelli.

Mimmo Palummieri
 








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