giovedì 28 marzo 2024

04/10/2019 09:11:41 - Manduria - Cultura

La ricerca su una piccola figura, acefala e genuflessa ai piedi dell’immagine divina, in atteggiamento di preghiera, che compare nel lato destro del bassorilievo di Raimondo da Francavilla

    La facciata della chiesa Matrice di Manduria, nonostante la sua plurisecolare esposizione alle intemperie e allo sguardo degli estimatori, non manca di riservare ancora qualche sorpresa all’osservatore attento.

    Parlo di un particolare, credo finora ignorato ed inedito, della lunetta dello splendido portale cinquecentesco che, nella parte destra (o sinistra per chi guarda), cela la figura di un ignoto personaggio.

    Il bassorilievo, abilmente scolpito dal maestro Raimondo da Francavilla raffigura, come noto, la Santissima Trinità con, disposti su entrambi i lati, due angeli ritti che sorreggono le calate di una tenda.

    Sul lato destro è ancora visibile una figurina di dimensioni più piccole, acefala e genuflessa ai piedi dell’immagine divina, in atteggiamento di preghiera.

    Chi fosse questo personaggio ora non è facile dirlo, ma le caratteristiche dell’immagine e la sua collocazione nel contesto del gruppo scultoreo possono fornire utili elementi per rispondere al quesito.

    Il portale (datato 1532) è corredato, lo sappiamo, da più iscrizioni fra le quali, per quel che qui rileva, vi é quella riguardante l’identità del committente, posta proprio alla base della lunetta, sull’architrave dell’ingresso.

   Secondo la trascrizione del solito, prezioso Leonardo Tarentini, alla quale per il momento mi attengo, dovrebbe leggersi: “AD DEI SERVITUTEM SEXAGINTA AUREOS DOMINUS PANTALEUS PALMERIUS OSTIUM HUIUS CELATUM OPUS EXPONERE PIE VOLUIT”. 1

  Quindi, seguendo l’interpretazione più logica, nell’iscrizione la parola “HUIUS” farebbe presupporre un sottinteso “TEMPLI”, e dovrebbe significare che don Pantaleo Palmieri (quasi sicuramente un sacerdote del Capitolo della stessa chiesa) impiegò sessanta aurei in onore (o a servizio) di Dio per commissionare il lavoro del portale (“OSTIUM”).

   Ma detto questo, il resto dell’epigrafe rimane di non facile lettura e interpretazione, in quanto il verbo .”EXPONERE” ossia esporre, portare alla luce, se collegato con “CELATUM OPUS” lascerebbe quasi intendere che il portale c'era, ma coperto o nascosto, ed era stato riportato in bella vista.

   La domanda che si pone è quindi: il portale fu realizzato ex novo o già esisteva (in tutto o in parte)? Ciò, soprattutto, nel senso che potesse trovarsi in un altro punto della chiesa, magari sul vecchio prospetto, da dove potrebbe esser stato smontato, riposto e dimenticato da qualche parte (e quindi ecco il senso di “CELATUM OPUS”), per essere poi ricollocato a spese del Palmieri (così come, probabilmente, i due leoni in pietra dura) sulla nuova facciata della chiesa nel corso dell’ampliamento cinquecentesco.

   Il Tarentini, dopo aver detto che la Chiesa Matrice “opera dei Normanni veniva rimodernata ed ingrandita, non già edificata”, precisava che “Raimondo di Francavilla ricostruì il frontespizio in pietra calcarea ed a tutte spese di Pantaleo Palmieri.”, quindi, secondo lo storico municipale, un portale già c’era e fu “ricostruito” a seguito della costruzione del prospetto rinascimentale della chiesa originaria risalente, quest’ultima, alla fine del secolo XI. 2

   Invece in un altro suo scritto, precedente, lo stesso autore aveva affermato, a proposito dell’antica chiesa: “Altre porte non aveva, se non l’unica, situata nel centro e guarnita dai due grossi leoni di pietra durissima che ancora si notano; però sottoposti ai tre gradini, per via dei quali si accedeva.”, specificando pure che Raimondo di Francavilla, su incarico del Palmieri, “sollevò il vestibolo e gli dette nuova forma: collocò i leoni di pietra dura su le basi, costruì rilievi, scolpì le piccole statue dei SS. Apostoli Pietro e Paolo e della SS.Trinità [….]”.3    

   In base a quest’ultima notizia, che il Tarentini riferiva di aver ricavato dalla consultazione dell’archivio capitolare, si potrebbe quindi attribuire all’epigrafe un altro significato e argomentare, invece, che il vecchio “vestibolo” (o protiro, potremmo dire) fosse “celato” nel senso che fosse collocato ad una quota più bassa del portale attuale, tant’è che i due leoni, prima sottoposti a tre gradini usati per scendere in chiesa, sarebbero stati sollevati e collocati sugli odierni basamenti. Forse in questo senso (migliore visibilità dell’opera) si potrebbe meglio interpretare l’espressione “CELATUM OPUS EXPONERE”.

   Se così fosse potrebbero aprirsi varie questioni sulla datazione, sull'attribuzione e sulla pertinenza o meno al contesto delle varie parti che compongono il portale che, nel complesso, è ritenuto di fattura cinquecentesca.

   Ciò soprattutto tenuto conto della unanimemente riconosciuta estraneità, rispetto al complesso dell’opera, dei già citati leoni ex stilofori (portatori di colonne), provenienti secondo alcuni dal protiro della vecchia facciata romanica.

   Solo una nuova e più fedele trascrizione del testo dell’epigrafe, da eseguirsi approfittando di un prossimo restauro della facciata, potrebbe aiutarci a sciogliere definitivamente l’enigma.

  Ciò anche perché il testo del Tarentini (come riportato nel suo libro “Manduria Sacra”) sembra presentare qualche errore o incongruenza, frutto di una probabile svista o di un’errata trascrizione, come, ad esempio, la parola “AUREOS” che, forse, sarebbe preferibile sostituire con “AUREIS” (ablativo).

   Detto questo torniamo invece alla misteriosa figurina che sorge nella parte destra della lunetta.

   Nonostante lo stato particolarmente compromesso e la mancanza della testa del personaggio (probabilmente caduta a seguito del terremoto del 1743), vi si riconosce una figura umana, ritengo di sesso maschile, in atteggiamento di adorazione, inginocchiata ai piedi della Ss.ma Trinità.

   Chi si celi sotto questa figura in bassorilievo di sacerdote o notabile non è dato saperlo, ma incrociando tra loro i dati iconografici della lastra e il testo della sottostante iscrizione, è, a mio avviso, possibile risalire all’identità del personaggio scolpito: è molto probabile, a questo punto, che si tratti proprio del committente dei lavori, don Pantaleo Palmieri, che, in tal modo, ha voluto tramandare ai posteri la sua munificenza.

   La ricostruzione non credo sia poi tanto azzardata.

   Del resto, una conferma di ciò, potrebbe provenire dal fatto che anche nel Duomo di Ostuni, che tanti elementi stilistici ed architettonici condivide con il nostro, la lunetta del portale principale, raffigurante la Madonna in trono con Bambino, contiene, sempre nel lato destro, l’immagine del supposto committente, il vescovo tarantino Nicola Arpone, genuflesso ai piedi della Vergine. 

 

Giuseppe Pio Capogrosso

 

 

Note  

1)  Tarentini sac. Leonardo, Manduria sacra, ed. B.D’Errico, Manduria, 1899, pag.134.

   Una diversa trascrizione dell’epigrafe è riportata da Gianbattista Arnò (v. Manduria e manduriani, Scuola Tipografica Antoniana, Oria 1954 pag. ): AD DEI SERVITVTEM DONVS PANTVS PALMERIVS IN OSTII  HVIVS CELATVM OPUS EXPONERE PIE VOLVIT.

  La lezione dell’Arnò, tuttavia, è ancora più problematica in quanto, a differenza di quella del Tarentini, in essa non sono state sciolte le probabili abbreviazioni (v. DO.NVS per DOMINVS e PANT.VS per PANTALEVS), non sono state sostituite le V con valore vocale e non consonantico con le U (ad es. HVIVS con HUIUS), mentre l’incompletezza della frase, che non é coerente con quanto l’autore aveva premesso prima  -ossia che l’iscrizione “ricorda che Pantaleo Palmerio, in ossequio al Signore, piamente volle applicare sessanta monete d’oro per la scultura di questa facciata”, sebbene poi dimentichi nell’iscrizione di riportare proprio i “SEXAGINTA AUREOS “(o AUREIS)- rende ancora più difficile l’interpretazione.

  Al momento, la più corretta trascrizione dell'epigrafe, per quel che si riesce a vedere ad occhio nudo e dal basso, sembra essere la seguente: AD DEI SERVITVTEM SEXAGINTA AUREOS DONVS PANTUS PALMERIVS IN OSTII HVIVS CELATV OPVS EXPONERE PIE VOLVIT.  Si resta in attesa di una lettura più accurata in occasione del prossimo intervento di restauro.

 

2) Tarentini sac. Leonardo, “Cenni storici di Manduria antica, Casalnuovo e Manduria restituita”, Tip. Spagnolo – Taranto, 1901

3) Tarentini sac. Leonardo, Manduria sacra, ed. B.D’Errico, Manduria, 1899, pag.134.

4) Sempre per la facciata del Duomo di Manduria, segnalo i seguenti miei articoli

- “IL ROSONE O SFERA MAGGIORE DELLA CHIESA MATRICE DI MANDURIA.(La raggiera scomparsa dell’antico rosone gotico-rinascimentale)” su Manduria Oggi del 3.8.2017;

- “CHIESA MATRICE DI MANDURIA: IPOTESI DI LETTURA DEL SECONDO STEMMA DEL PORTALE” su Manduria Oggi del 28.12.2017;

- ”CHIESA MATRICE DI MANDURIA: IPOTESI DI LETTURA DI UNO STEMMA ARALDICO” su Manduria Oggi del 21.10.2017.

5) Ringrazio per i preziosi suggerimenti fornitimi nella lettura e nell’interpretazione dell’epigrafe l’amico e concittadino prof. Dante Pastorelli.

Le foto riproducono, la lunetta del portale della Collegiata di Manduria con il particolare del supposto committente sac. Pantaleo Palmieri e la lunetta del portale della Cattedrale di Ostuni.









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