domenica 05 maggio 2024

20/05/2010 11:07:57 - Manduria - Speciale

Il coraggio di Mimina Stano

«....Sono in pensione dalla mia professione, ma non dalla mia missione, perché il meglio è cominciato dopo....».
Si esprime così, nel rivedere le amiche, una nostra concittadina, la prof.ssa Cosima Stano, per gli amici Mimina, in congedo per due mesi dalla sua missione a Nfiome, un piccolo centro nella Savana della Tanzania, dove risiede da circa sette anni dopo una breve parentesi tutta italiana che l’ha sottratta a questo impegno per dedicarsi ai genitori ormai anziani, rompendo la continuità con un primo momento di lontananza dalla patria.
Non nasconde l’emozione mista a contentezza, quando il suo esile fisico, che per alcuni versi ricorda la figura sin troppo filiforme di Madre Teresa di Calcutta, viene avvolto dagli abbracci affettuosi delle aderenti alla stessa associazione, di cui la prof.ssa Stano fa parte, l’ALM, che le riversano coccole e baci che compensano un lungo periodo di distacco.
Ci incontra martedì, presso il Godò Lounge, locale trendy per giovanissimi, in via Pacelli, in poco trasformatosi da luogo di ritrovo in una dogana della Tanzania per presenza di manufatti proveniente dall’Africa Orientale.
Si respira un’atmosfera quasi irreale quando, mentre Mimina racconta la sua quotidiana esperienza, in modo semplice e diretto, con la concretezza di chi vive nel pragmatismo stridente in contrasto con la nostra società in cui l’abitudine al nulla ci rende spesso insofferenti ed insoddisfatti, prendiamo coscienza della dilagante ipocrisia di istituzioni e governanti oltre che a quella personale. Al centro di una modernissima sala Mimina apre l’incontro con le parole del reverendo M.L. King, con I Have a dream, quando questi nel denunciare i pregiudizi dei negri altro non faceva che denunciare qualsiasi forma di intolleranza razziale prescindendo dall’etnia, e subito dopo prosegue a braccio, senza canovaccio, lasciando che il suo flusso di coscienza parli da solo delle sue giornate, dei suoi adorati bambini, salvati dalle mamme sieropositive, del futuro che ha garantito loro, dei limiti di un governo colonialista disinteressato della stessa gente della quale ella si occupa e che fanno del classico dei mondi un solo paese per le
contraddizioni politiche, per gli scandali, per le beffe, per la lo lotta quotidiana del sopravvivere, di quello che è stato e di quello che probabilmente sarà.
Parla dei ragazzi avviati agli studi, di quelli cresciuti all’interno dei capannoni, simbolo di una comunità cresciuta nel tempo, della mancanza di acqua e di energia elettrica, dei paradossi che fanno sentire l’uditore ancora più piccolo, gli stessi che ci danno la prospettiva di una società i cui la realtà supera non poche volte la fantasia.
«.... Il mio sogno» dice Mimina «è quello di far assumere consapevolezza a chi mi ascolta, non sperare nella pace che non ci sarà mai, ma fare in modo che ciascuno, nel suo piccolo, faccia quanto può senza aspettare che a farlo siano gli altri, sapendo che in qualche luogo sperduto una semplice caramella, offerta di tanto in tanto, faccia la differenza. Se poi nel frattempo sarò riuscita ad avviare agli studi medici almeno uno dei miei ragazzi, vista la totale assenza di questa figura, sarò doppiamente felice, perché non vedrò più amputare la gamba ad un bambino con una semplice slogatura andata nel frattempo in cancrena per l’assenza di cure......».
Da lì in poi un susseguirsi di aneddoti raccontati con ironia, per chiosare giornate ed esperienze maturate nella necessità continua, che ti porta ad improvvisarti sarta quando non lo sei, o assistente sociale quando di devi industriare per garantire un futuro a giovani donne che altrimenti, bambine loro stesse, arriverebbero con bambini già affetti dall’Aids, per impedire che il latte si inacidisca o che i pochi medicinali a disposizione si alterino, o per impedire ai doganieri di impossessarsi dei contenuti dei pacchi messi insieme dai benefattori italiani, vasi comunicanti della solidarietà a chilometri e chilometri di distanza.
Si chiude così l’incontro informale con la nostra concittadina, tra la nostalgia e la consapevolezza che la fortuna di uno si traduca nell’infelicità di un altro, e mentre l’amicizia trova sfogo in un attimo di condivisone nel rinfresco organizzato non dalle amiche del the, ma da quelle dell’associazione, si congeda Mimina Stano, sempre più dentro quella realtà e sempre più fuori dalla nostra, divenuta per paradosso la cellula
impazzita di una società più malata di quella africana.

Mimmo Palummieri








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