domenica 19 maggio 2024

25/01/2009 10:19:52 - Manduria - Speciale

A Gabriella intitolata anche la sala convegni del Centro Servizi di Uggiano

 
E’ stata intitolata a Gabriella Fanuli la sala convegni del Centro Servizi di Uggiano Montefusco. Non solo, dunque, la borsa di studio bandita dall’associazione ANTEA («Sarà bandita ogni anno e implementeremo sempre di più la somma» ha garantito il coordinatore sanitario di questa associazione, dott. Giuseppe Casale), ma anche un segno tangibile a due passi dalla propria abitazione, voluto dal sindaco Francesco Massaro e dalla sua giunta, per onorare la memoria di Gabriella, giovane infermiera di Uggiano scomparsa prematuramente durante l’estate.
«Gabriella è stato un esempio di donazione al prossimo, non solo durante la vita, ma anche al momento del trapasso» ha rimarcato il dott. Salvatore Pisconti, moderatore del convegno di ieri sera, facendo riferimento all’avvenuta donazione di tutti i suoi organi. «Lei lavorava presso l’associazione ANTEA, che si occupa di cure palliative ai malati in fase terminale. L’esistenza di queste cure può essere la testimonianza del fallimento del progresso: se c’è un malato in fase terminale, significa che la scienza non è stata capace di vincere il suo male. Il 50% dei casi di tumore si risolvono. Per gli altri, invece, la medicina è impotente e, quindi, si va a grandi passi verso la cronicizzazione del male, con tutte le conseguenze. Si innescano, così, una serie di risvolti di tipo psicologico e relazionali».
 
 Dopo aver letto un ricordo di Gabriella scritto dalla direttrice dell’ANTEA, il dott. Pisconti ha passato la parola a Costantina Pasanisi, in rappresentanza dell’Albero Fiorito, una famiglia allargata che si ispira agli insegnamenti di San Francesco e che ha voluto promuovere la presentazione della borsa di studio intitolata alla giovane infermiera di Uggiano.
«Gabriella è uno dei fiori dell’Albero Fiorito, nato dal tavolo di San Francesco» ha affermato la signora Pasanisi. «La nostra famiglia allargata è rivolta ai giovani, ai nostri figli: pur vivendo con loro, spesso ci accorgiamo che i nostri figli sono degli sconosciuti. Allora, ci siamo detti, perché non stare di più insieme a loro, magari promuovendo delle iniziative a carattere sociale? Gabriella è uno dei boccioli più belli dell’Albero Fiorito. Un bocciolo che non è affatto chiuso: Gabriella è viva e presente tra noi ed è da esempio e sprone per gli altri ragazzi».
Auspicando la partecipazione di medici e infermieri di Manduria alla borsa di studio bandita da ANTEA, Costantina Pasanisi ha poi presentato le altre attività di “Albero Fiorito”, anticipando la possibilità che possano essere organizzati, insieme al collegio IPASVI di Taranto (è l’organismo che raggruppa e rappresenta gli infermieri), incontri con gli studenti di Manduria sul tema della corretta alimentazione.
 
 
E’ stata poi la volta del sindaco Francesco Massaro.
«Questa società, così ricca ed opulenta, così avanzata e tecnologicamente attrezzata, è ancora vulnerabile, quasi spiazzata, dalla persistenza di un male che non si riesce a sconfiggere» sono state le prime riflessioni del primo cittadino. «Non si può che lodare, dunque, chi, come l’associazione l’ANTEA, si prende cura dei malati in fase terminale. Gabriella Fanuli, infermiera di ANTEA, era una dolce e deliziosa ragazza di Uggiano. Crescendo è diventata sempre più bella: l’abbiamo vista fiorire, ma non sfiorire. E nel codice della memoria, il prolungamento della sua esistenza sarà ancora più nobile grazie anche al gesto della donazione degli organi».
Poi il sindaco Massaro ha riservato una gradita sorpresa ai familiari di Gabriella: la decisione della giunta di intitolare la sala convegni del Centro Servizi di Uggiano proprio a lei. Decisione salutata dagli applausi della foltissima cornice di pubblico presente al convegno.
Si è entrati, quindi, nel vivo della serata con l’intervento del direttore sanitario del “Giannuzzi” di Manduria, dott. Franco Menza, presente in rappresentanza della Asl (il direttore generale Colasanto non è potuto infatti intervenire).
«La Asl di Taranto è impegnata nella realizzazione di strutture finalizzate all’assistenza il più possibilmente vicina alle necessità che i pazienti in fase terminale manifestano» ha annunciato il dott. Menza. «Spesso medici e infermieri si trovano nella situazione di essere impotenti di fronte a determinati mali. Situazione che genera grandi conflitti interiori al nostro personale, che si sente gratificato solo dai sorrisi di chi soffre. Rivolgo un plauso alle associazioni di volontariato che non lasciano soli questi pazienti».
E’ seguito l’intervento della dott.ssa Benedetta Mattiacci, presidente del Collegio IPASVI di Taranto.
«Gabriella era iscritta al Collegio di Taranto. Non la conoscevo, ma ne ho sentito parlare come una persona generosa, che si dedicava agli altri» è stata la premessa della dott.ssa Mattiacci, che poi ha analizzato la realtà assistenziale del meridione. «Il sistema sanitario ha tante lacune: non riesce a offrire le risposte adeguate all’esigenza di creare case della salute, che possano ospitare gli studi dei medici di famiglia e la guardia medica. Servirebbero gli hospice in cui i malati terminali possano vivere l’ultima fase della loro vita assistiti da persone come Gabriella».
Il dott. Giuseppe Casale si è invece soffermato sul ruolo della “squadra” ANTEA.
«E’ una squadra composta da 110-120 persone, tra medici, infermieri, psicologi e volontari» ha fatto presente il dott. Casale. «Gabriella faceva parte di questa squadra. Anzi, fa ancora parte di questa squadra, perché spesso, durante le riunioni, viene spontaneo, in tutti noi, cercare di capire quale sarebbe stata la sua opinione o la sua proposta. Gabriella è stata una professionista, sia per il sorriso che sapeva donare, sia per la competenza. Sapeva aiutare il paziente a vivere bene gli ultimi giorni della propria vita».
Poi il dott. Casale ha parlato di cure palliative e della necessità di dotare la sanità di strutture e mezzi per aiutare i malati di tumore in fase terminale.
«C’è tanta confusione quando si parla di cure palliative» ha affermato il dott. Casale. «Il malato è una persona sino all’ultimo minuto della sua vita. Ed è errato pensare che a morire di tumore siano solo gli anziani: a volte il problema riguarda anche i bambini. Serve dunque tanta competenza per stare accanto a chi ha pochi giorni o settimane di vita. Noi gestiamo il dolore di questi pazienti: occorre saperlo eliminare. Servirebbero degli “ospedali senza dolore”. Ho sentito parlare di progetti in tal senso, ma non si fa nulla. Poi c’è un altro tipo di dolore, che non è fisico. Quello fisico è il più facile da curare, ma c’è quello psicologico: cadono i capelli, cambia la fisionomia e il paziente stenta a comprendere ciò che accade. Oltre al dolore, c’è poi un altro problema: quello della paura di morire con la sofferenza. Accade che, più che della paura stessa della morte, si crei quella di soffrire consumandosi. Infine c’è l’aspetto spirituale. Il paziente si pone tante domande: perché proprio a me questo male? Perché adesso? Perché devo morire? Per tutte queste ragioni le cure palliative sono fondamentali. Il paziente viene abbracciato e curato in tutto ciò che è curabile dal punto di vista clinico. Ogni anno ci sono, in Italia, dai 250.000 ai 300.000 nuovi casi. Casi che non riguardano solo il paziente, ma che finiscono per coinvolgere tutta la famiglia. Bisogna essere anche franchi: in molti sono convinti che, tanto, questi sono problemi non appartengono ad altri. Invece ognuno di noi deve morire. Ed io vorrei che, quando toccherà a me, non mi senta un peso rifiutato dalla società. E’ fondamentale, allora, che ci siano strutture e che, soprattutto, in queste strutture vi siano persone competenti. A volte ci arrivano pazienti che sono in condizioni pietose, pieni da piaghe da decubito: questi sono i risultati del mancato adeguato trattamento. L’ANTEA segue i pazienti in fase terminale assistendoli nella propria abitazione, ad eccezione di coloro che non hanno famiglia o che non possono essere assistiti a casa per vari motivi, che seguiamo nell’hospice. Aiutiamo le persone con il sorriso: togliamo loro il dolore, ma sempre con il sorriso. Come faceva Gabriella».
La serie degli interventi è stata chiusa da mons. Franco Dinoi, che ha trattato, in particolare, l’aspetto spirituale del problema.
«Ho tanti ricordi di Uggiano Montefusco» è stata la premessa di mons. Dinoi. «Ricordo che ho ricevuto prima la comunicazione della nomina di parroco ad Uggiano e solo successivamente quella della data di ordinazione sacerdotale… Ho imparato ad essere sacerdote proprio qui, ad Uggiano, dove, usando una terminologia calcistica, mi sono fatto le … ossa. Una volta questi incontri si svolgevano nel salone dell’asilo. Oggi, grazie a Dio e a tutti coloro che si impegnano nell’attività amministrativa (fra questi molti dei miei ragazzi di allora), c’è una struttura più degna. Ho conosciuto Gabriella quando aveva un anno e, da parroco ad Uggiano, l’ho accompagnata sino ai sette anni. Poi ho ritrovato Gabriella fidanzata, che è venuta a trovarmi a San Cosimo alla Macchia per chiedermi di celebrare in quella chiesa il proprio matrimonio».
Poi mons. Dinoi è entrato nel cuore della questione.
«La vita è un dono che viene da Dio. Un dono sacro, quindi, che deve essere tutelato sino all’ultimo momento. Oggi ci sono tanti che spingono verso l’eutanasia il moribondo tormentato dalla sofferenza. Questa scelta è gravemente illecita, è un omicidio, un atteggiamento egoistico di coloro che circondano il malato contro il disegno Divino. Quando non è possibile restituire la salute al paziente, occorre cercare di alleviare la sofferenza con cure palliative, che sono un segno di misericordia e di rispetto verso il malato. L’antropologia cristiana contiene anche molti aspetti legati alla nozione della salute, un valore importante e prezioso di cui ognuno deve prendersi cura. Il quinto comandamento vieta gli abusi quando questi sono nocivi alla persona. La sofferenza appartiene al mistero dell’uomo: proprio nella Bibbia, il libro della sofferenza e della riflessione illuminata dalla luce della rivelazione divina, vi sono tante domande terribili su questo argomento. La malattia è indicata col termine “male”, cioè opera del maligno, termine che ha la stessa radice di malattia e male. La lotta contro il male è quindi anche la lotta contro le malattie e il dolore. Una testimonianza forte, in questo senso, è arrivata da Giovanni Paolo II, che non ha avuto né paura, né soggezione a mostrarsi malato. E’ stata una testimonianza che ha reso più vero e più santo Giovanni Paolo II, che ha accettato e portato la malattia a livello di redenzione».
Nella galleria fotografica il momento della posa in opera della targhetta che sancisce l'intitolazione della sala a Gabriella Fanuli edue foto del sindaco con la famiglia Fanuli e, poi, anche con Antonio, marito di Gabriella.








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