venerdì 28 marzo 2025


14/02/2025 07:39:18 - Manduria - Attualità

«Buonasera, papà», salutarono in coro i figlioletti. «Buonasera, piccoli miei!», ricambiò lui, baciando uno a uno i tre pargoli sulla fronte, prima di accingersi a desinare

Adele servì con rispetto il piatto di minestra calda a suo padre, rientrato a casa dopo il lavoro, come ogni sera, alcune ore dopo il tramonto. Luigi, Giuseppa e Salvatore, seduti a tavola con il cucchiaio in mano, attendevano impazienti la fumante pietanza.

«Buonasera, papà», salutarono in coro i figlioletti. «Buonasera, piccoli miei!», ricambiò lui, baciando uno a uno i tre pargoli sulla fronte, prima di accingersi a desinare.

«Avete lavato le mani? Avete fatto il segno della croce? Dovete recitare la preghierina prima di cenare!», incalzò Adele, esortando con tono autorevole i piccoli.

I fratellini, ubbidienti, senza obiettare, eseguirono il rituale e, dopo il convenzionale "Buon appetito", iniziarono a trangugiare quasi all’unisono il fumante pasto. Solo Luigi, il più piccolo, garbato e gioioso, fu l’ultimo a terminare la cena.

Adele spesso lo incitava ad affrettarsi e lui, spronato, abbassava il capo sulla minestra, la chioma scura e lucida, e continuava a masticare.

Il bambino amava giocare con la sorella Giuseppa, di qualche anno più giovane di lui. La ragazzina, un po’ svampita e impacciata, ma sempre gaia e sorridente, assecondava il fratellino nel simulare una paziente che si sottoponeva alle cure del futuro infermiere.

«Papà, ti voglio raccontare ciò che mi è accaduto oggi dopo l’uscita da scuola…» esordì il minuto e spavaldo Salvatore, il secondogenito, spostando con le sottili dita i capelli ricciuti che gli coprivano l’ampia fronte.

«Spero che tu non ti sia cacciato nei guai, come spesso ti accade…» rispose il padre, che già prefigurava una punizione per il figlio irascibile, ma che in cuor suo amava per il suo animo buono e altruista.

«No, papà, questa volta no! Sono passato davanti alla stalla di Michele e mi sono fermato. Lui era intento a ferrare i cavalli; ero interessato al suo lavoro e mi ha invitato ad aiutarlo. Io ho accettato volentieri il suo invito.»

Il bambino, estasiato, con lo sguardo rilucente, continuava il suo racconto:

«Ho retto, una alla volta e con cautela, ogni zampa della bestia per evitare che scalciasse… Con il mio prezioso aiuto, ho permesso a mastro Michele di terminare l’operazione in breve tempo, e lui mi ha ricompensato con delle squisite carrube, che ho mangiato con gusto poco dopo.»

Salvatore, soddisfatto del suo operato, concluse il racconto con una richiesta rivolta al padre:

«Quella di stamattina è stata un’esperienza bellissima, papà! Voglio fare il maniscalco!»

«Figliolo mio, dovrai prima terminare la quinta elementare e poi potrai fare l’apprendista», consigliò il padre al vispo bimbetto.

Qualche istante dopo irruppe Adele:

«Papà, com’è andato il lavoro oggi?» domandò incuriosita la figlia.

«Bene, grazie a Dio! C’è una crescente richiesta di fiscoli nei frantoi. L’annata è ottima e si produce olio in grandi quantità. Dovrò provvedere quanto prima a rifornire il magazzino di una congrua scorta di canapa, pelillo e giunco per far fronte alla domanda crescente di filtri.»

«Devi sapere che…» continuò lui, «tua zia Carmela mi ha riferito che quest’anno è molto impegnata con la raccolta delle olive nei terreni dei signori Arnaldi. Sai, don Michele ha dovuto assumere un numero maggiore di operaie rispetto agli anni trascorsi, tanto è abbondante il raccolto.»

Carmela, sorella maggiore di Antonio, era una donnona dai lineamenti marcati, con le gote pronunciate e una modesta peluria sul mento. Viveva la sua vedovanza miseramente, sacrificandosi per sfamare i suoi quattro figli. Ogni mattina si alzava all’alba per andare a sgobbare nei campi.

Suo fratello, spesso, nei tardi pomeriggi, per procurarle giornate di lavoro, stazionava nei pressi della piazza principale, come era d’uso all’epoca, dove i proprietari terrieri reclutavano manodopera in base alle proprie esigenze. Uomini e donne venivano sfruttati e retribuiti con pochi centesimi.

Negli uliveti secolari, inumiditi dalle prime piogge autunnali, all’interno di aree tonde disinfestate dalle erbacce per rendere più visibile e agevole la raccolta del frutto, una schiera di raccoglitrici, piegate sul terreno e disposte in circolo, raccoglieva una a una le olive cadute dai rami per poi riporle nei panieri. Carmela, fisicamente ben dotata e forzuta, anche se non le competeva quella mansione affidata agli uomini, aiutava di buon grado i virili ed energici sprujàri[[1]]. Gli operai erano impegnati a scuotere con bastoni o con le mani le fronde degli ulivi, che lasciavano cadere il frutto a terra, subito dopo raccolto e separato dalle foglie. La donna si prestava volentieri anche a travasare le olive in ceste più profonde, poste sui carretti, per il successivo trasporto al frantoio.

La raccolta delle olive era un lavoro estremamente lungo e faticoso, che durava dall’alba al tramonto e si interrompeva a mezzogiorno, il tempo necessario per consumare un pezzo di pane casereccio, accompagnato da olive in salamoia, peperoni o cicorie selvatiche.

Don Michele Arnaldi era il maggiore produttore di olio e olive della zona. Vantava l'ottima qualità delle sue olive; la varietà più diffusa nel Salento era la Cellina di Nardò, insieme all'Ogliarola Leccese, nota per la bassa acidità dell’olio, gustoso e delicato al palato.

Don Michele era un assiduo cliente di Antonio, un fine artigiano funaio, stimato e benestante nel suo settore, considerato uno specialista come pochi. Assemblava a mano i fiscoli, intrecciando in modo circolare cordoncini di piante arboree coltivate nelle paludi locali, con i quali realizzava i doppi dischi forati al centro e sigillati lungo tutta la loro circonferenza.

Antonio, grazie alla sua esperienza accumulata sin da ragazzo, già da apprendista, aveva affinato notevolmente la tecnica di lavorazione dei fiscoli, rendendoli più maneggevoli e resistenti. Il suo ottimo prodotto, utilizzato da tutti i frantoiani locali, era sinonimo di qualità e garanzia. Col tempo, Antonio aveva ampliato il suo giro d’affari ben oltre la provincia tarantina.

La torchiatura delle olive con i feschi[[2]] era molto diffusa in quel tempo ma presentava molteplici svantaggi.[[3]]

 

Walter Pasanisi


[[1]] Scuotitori

[[2]]  Fiscoli

[[3]] La pesantezza dei dischi che venivano collocati nelle presse richiedeva molta forza fisica da parte delle maestranze. Inoltre, le fibre vegetali dei filtri trattenevano i residui di pasta del prodotto, che, deteriorandosi facilmente per effetto dell’ossidazione e delle muffe, alteravano il sapore dell’olio. Nel frantoio di Paolo Marcini, impiantato alla fine dell’Ottocento in un ipogeo, la nota famiglia locale, da generazioni imprenditori frantoiani, lavorava il prodotto con tre macine, con le quali otteneva la prima frangitura delle olive. Con un’altra macina, più grande e più pesante, azionata da una bestia da tiro, riduceva la pasta inpoltiglia per la spremitura, che veniva effettuata a forza di braccia con le presse azionate dall’argano verticale.

 











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