Tratta del dialetto manduriano, con le sue peculiarità linguistiche e la sua più o meno conosciuta etimologia, ma esso ci racconta anche l’affascinante vicenda umana che ha portato a Manduria da Firenze il nipote dell’autore, il professor Pierluigi Zezza

Ci sono vicende, come questa che raccontiamo, in cui c’è una storia già scritta, quella contenuta in un prezioso manoscritto dal titolo “Saggio d’un Vocabolario Etimologico Manduriano” del professore manduriano Salvatore Sbavaglia, e una storia, altrettanto preziosa e sorprendente, tutta da scrivere, la cui trama è intessuta di legami familiari ricostruiti e profonde radici mai estirpate.
Il “Vocabolario” di Salvatore Sbavaglia tratta del dialetto manduriano, con le sue peculiarità linguistiche e la sua più o meno conosciuta etimologia, ma esso ci racconta anche l’affascinante vicenda umana che ha portato a Manduria da Firenze il nipote dell’autore, il professor Pierluigi Zezza. Egli, fin da bambino, incuriosito dal misterioso manoscritto del nonno di cui si parlava nella sua famiglia, e forse perduto, quando ne è venuto finalmente in possesso (alla morte di uno zio che lo custodiva nella sua abitazione in Sicilia), ha fortemente voluto ‘riportarlo a casa’. Il professor Zezza, attraverso Archeoclub Manduria, da sempre impegnata nella tutela del patrimonio culturale da trasmettere alle generazioni future, ha incontrato l’interesse editoriale del dottor Massimo Luparelli, editore e socio Archeoclub, che ha provveduto, con estrema disponibilità, alla pubblicazione del manoscritto.
L’opera di cui si scrive, il “Saggio d’un Vocabolario Etimologico Manduriano” è la stampa di un manoscritto in cui è riportato un vocabolario del dialetto manduriano, il più antico finora conosciuto. Non sappiamo esattamente la data in cui l’Autore abbia compilato il vocabolario, ma sicuramente essa è da collocare entro i primi decenni del 1900.
Salvatore Nicola Sbavaglia (Manduria, 1878 - Taranto, inizio anni 50), figlio di Giuseppe, eroe del Risorgimento, al quale è intitolata una via della nostra città, dopo aver compiuto gli studi a Pisa, si laurea in Lettere a Napoli nel 1905. La sua professione lo porterà a insegnare prima a Città della Pieve, poi presso il Liceo Pitagora di Taranto, città nella quale si stabilisce definitivamente con la moglie, Maria Rosaria Foti.
Nel “Saggio”, come indicato nel titolo, i vocaboli dialettali manduriani vengono esaminati anche sotto l’aspetto etimologico, nelle loro possibili derivazioni dal latino e dal greco, ma anche dallo spagnolo, dal francese, dall’arabo e da altre lingue ancora, poiché risulta inevitabile — come spiega l’Autore nell’ “Introduzione” — che in una città come Manduria, storicamente soggetta a influssi e dominazioni di popoli diversi, il dialetto risenta di forme e costrutti propri della lingua di quei popoli.
Considerato «l’anima di un popolo», il vernacolo diviene strumento di conoscenza «del popolo stesso, della sua origine, della sua storia», mentre lo studio e la ricerca etimologica di parole delle quali si ignora l’origine, oltre a soddisfare una legittima curiosità di ogni popolo, nel caso di Manduria, viene altresì a colmare una «lacuna deplorevole», vista la mancanza di precedenti studi etimologici relativi al nostro dialetto.
L’approccio metodologico utilizzato dal professor Sbavaglia consiste nello studio comparato dei vocaboli conosciuti e usati dal popolo di Manduria nelle diverse forme che essi hanno assunto nel corso dei secoli, e nell’individuazione di alcuni “filtri linguistici” attraverso cui essi sono passati a causa delle vicende della Storia, fino a stabilire, con sufficiente certezza, la loro origine e il loro significato. A questo proposito, tuttavia, l’Autore invita a non ricercare ad ogni costo le origini dei vocaboli in bizzarre congetture e in lingue remote, poiché esse, talvolta, seppur influenzate da tratti linguistici stranieri, appaiono profondamente radicate nel contesto linguistico locale e popolare. Per questa via, nel “Saggio”, alcuni vocaboli, la cui origine è da sempre inspiegabile o, peggio, spiegata dal popolo in maniera arbitraria, trovano una valida interpretazione.
Un esempio fra tutti, la voce dialettale “Scegnu”, oggetto di vane ricerche etimologiche da parti di studiosi, anche illustri. A tale vocabolo, che si riferisce alla famosa fonte, simbolo del territorio manduriano, successivamente denominata Fonte di Plinio, sono dedicate numerose pagine del “Vocabolario”. Superando le precedenti spiegazioni (fra cui quella del prof. Stano che riporta il vocabolo all’osco-messapo, parlato nella regione in epoca preromana) lo Sbavaglia afferma che il termine “Scegnu” è di origine latina, ma non trova riscontro nelle radici di tale lingua perché ha subito progressive alterazioni operate dal popolo nel suo usarlo nei secoli. In particolare, “Scegnu” deriva da ‘gegnum’ o ‘gignum’, cioè da ‘gigno, gignis, gènui, gènitum, gignere, che significa “generare”, “produrre”, nella fattispecie, essendo una fonte, ‘generare acqua’: ne deriva che il significato proprio di ‘Scegnu’ è ‘sorgente’. Le trasformazioni linguistiche subite dal termine riguardano: 1) ‘g’ di ‘gegnum’ o ‘gignum’ in ‘sc’ di ‘scegnu’; 2) ‘i’ di ‘gignum’ in ‘e’ di ‘scegnu’. Nel primo caso, l’Autore riporta numerosi esempi di vocaboli del nostro dialetto che hanno subito lo stesso percorso, ad esempio “generum” ha prodotto “sciennuru” ( = genero); “genuculum” “scinucchiu” ( = ginocchio); “gelu” “scielu” (= gelo); “magiam” “mascia” (= magia). Per quanto riguarda la trasformazione della ‘i’ in ‘e’, l’Autore scrive «che il mutamento è naturalissimo, giacché ‘i’ ed ‘e’ si scambiano spesso in latino» (p. 226). A questo proposito, il professor Luigi Pinelli, relatore durante la cerimonia di consegna del manoscritto alla biblioteca civica “Marco Gatti” (collocazione finale dell’opera, donata dal professor Zezza alla nostra città), ha precisato che, linguisticamente, il mutamento della vocale ‘i’ in ‘e’ nella parola Scegnu”, non è proprio ‘naturalissimo’, ma è dovuto all’alternanza vocalica, un fenomeno linguistico di mutazione delle vocali all’interno di una parola per differenziarla nei suoi vari tempi verbali, se trattasi di un verbo, o per distinguere un verbo da un sostantivo: nella fattispecie si è passati dalla ‘i’ del verbo ‘gigno’ (alternanza di grado 0) alla ‘e’ (alternanza di grado debole), producendo il passaggio da –sci a –sce nel sostantivo ‘Scegnu’.
Come accennato, oltre all’etimo latino, troviamo esempi di derivazione da altre lingue: 1) “Attani” deriva dal greco “atta”, e suffisso –ni, (come in “tuni”, “moni”, “noni”) = «padre, babbo»; 2) “Sinfasonfa”, dal francese “sans façon” = «Senza maniera o garbo, alla rinfusa, a casaccio, alla carlona»; 3) “Crappa”, dal germanico “Krappa” = «grappolo»; 4) “cupeta” dall’arabo antico “quobbaita” = «croccante»; 5) “Iabba” dal normanno “gabb” = «gabbo, inganno, delusione, derisione, beffa»; 6) “Marancia” dal sanscrito “mâgaran’ga” = «arancia»;
Chiude il “Vocabolario” un’appendice dal titolo “Alcune modificazioni e alterazioni tra le più notevoli che si verificano nelle parole dialettali”, in cui sono riportate alcune peculiarità facilmente riscontrabili nel dialetto manduriano, come la caduta iniziale di alcune vocali e consonanti all’inizio o all’interno della parola (esempi: ‘a’ = “bbampari” per “avvampare”; ‘o’ = “recchia” per “orecchia”; ‘u’ = “nguentu” per “unguentu”;; ‘f’ = “iatari” per ”fiatari”; ‘g’ = “uastari” per “guastare”; ‘l’ = “astricu” per “lastrico”); inoltre, la sostituzione di alcune vocali e consonanti all’interno della parola: ‘a’ in luogo di ‘e’ (“maranciana” per “melanzana”); ‘a’ in luogo di ‘o’ (“scarpioni” per “scorpione”); ‘u’ in luogo di ‘e’ (“muloni” per “mellone”); ‘u’ al posto di ‘v’ (“uastasi” per “vastasi”); ‘u’ al posto di ‘b’ (“uacili” per “bacile”); ‘c’ sta per ‘g’ (“manciari” per “mangiari”).
Il “Saggio d’un Vocabolario Etimologico Manduriano” del prof. S. Sbavaglia è edito da Luparelli srls, Manduria 2024

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