Una tradizione alquanto radicata in zona tende a collocare, sul posto, un tempio di epoca greca, sacro a Minerva e, dopo, un luogo di culto dei Basiliani
Invero secolare appare il rapporto tra il mondo ecclesiastico e questo piccolo borgo, ricco di storia ed archeologia, posto sul confine orientale dell’antica chora magnogreca tarantina (vedi P. TARENTINI, Monacizzo, un antico centro magnogreco e medievale a sud-est di Taranto, Manduria, Regione Puglia-CRSEC TA/55, 2006).
Una tradizione alquanto radicata in zona tende a collocare, sul posto, un tempio di epoca greca, sacro a Minerva e, dopo, un luogo di culto dei Basiliani: di quei monaci, cioè, in fuga dall’oriente a seguito delle persecuzioni dell’Imperatore Leone III (VIII sec. d.C.) contro gli adoratori di immagini sacre, donde il paese “fu detto Monacizzo” dai monaci che vi avevano dimora (vedi, tra gli altri, G. MARCIANO, Descrizione, origini e successi della Provincia d’ Otranto, ms 1656, ristampa Napoli 1855, p. 352).
Al di là di tale tradizione, tutta ancora da documentare, un chiaro collegamento col mondo ecclesiastico emerge dall’inclusione di Monacizzo tra le donazioni territoriali fatte dai signori normanni agli arcivescovi di Taranto “per cattivarsi la loro benevolenza” (XII secolo d.C.); donazione dettata da una politica orientata, in genere, a favorire il clero, ed in particolare quello di rito latino, rispetto al clero di tradizione greco-orientale che, pur ridimensionato, continuò comunque ad influenzare i nostri territori (vedi P. COCO, Titoli dignitari e nobiliari della sede arcivescovile di Taranto. Studio storico critico con documenti inediti, Martina Franca 1918, p. 33).
Dopo tale donazione, il nostro casale rimase in possesso della curia tarantina per lunghi secoli, sino al passaggio in enfiteusi alla nobile famiglia dei Muscettola (XVIII secolo). Come scrive G. ARDITI, La corografia fisica e storica della Provincia di Terra d’Otranto, Lecce, stab. Scipione Ammirato, 1879, p. 359 “Gli arcivescovi di Taranto avevano il titolo di Baroni di Monacizzo, vi tenevano un palazzo baronale ed una gran Torre di difesa a mo’ del tempo”. Da aggiungere, ovviamente, le due chiese che attualmente caratterizzano il luogo, quella della Madonna di Loreto, alla base meridionale del colle e la chiesa matrice, prospiciente la piazza, dedicata a San Pietro Apostolo (per la torre e la chiesetta di Loreto vedi miei articoli su “Manduria Oggi” dell’11 marzo e dell’11 dicembre 2022).
Difficile poter stabilire le fasi iniziali della nostra chiesa e le modifiche intervenute nel corso del tempo. Domenico Vendola pone Monacizzo, come arcipretura, in una pianta delle diocesi d’Italia (in questo caso quella di Taranto) nei secoli XIII e XIV, indicando in 20 once le decime di questo casale e del limitrofo paesello di Termiteto spettante all’arcivescovato di Taranto. Nulla di più preciso sulla chiesa e sul clero (vedi D. VENDOLA, Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Apulia-Lucania-Calabria, Roma, Città del Vaticano, 1939 - ristampa anastatica 1970 - p. 133 e carta topografica F° II in allegato).
Per notizie più dettagliate occorre rivolgersi alle visite pastorali dei prelati tarantini effettuate a Monacizzo nel corso dei secoli (vedi M. SPINOSA, Ricognizione storico documentaria dei feudi della famiglia Muscettola principi di Leporano. Taranto, Scorpione, 2003, pp. 379-390).
La visita di Mons. Lelio Brancaccio (il primo che avviò il progetto di visitare le parrocchie della sua diocesi, costituendo un modello per i suoi successori) risale al 24 maggio 1577 e segnala, all’interno della chiesa, 4 altari (l’altare Maggiore; l’altare di S. Pietro; di S. Maria della Grazia; del Rosario), con tre sacerdoti celebranti compreso l’Arciprete. Ed in tale occasione le deposizioni dei sacerdoti “resero noto all’arcivescovo Brancaccio di Taranto che nel secolo terzo e quarto il paese fu disabitato per il timore dei Turchi «propter adventus Turcarum» perché le incursioni si succedevano quasi ogni anno ” (cfr. F. BERZANO, La storia di Lizzano (Taranto), Asti 1950, ristampa 2006, p. 36).
La visita di mons. Tommaso Sarria al clero di Monacizzo (31.5.1678), registra la presenza di un arciprete, tre sacerdoti ed un suddiacono.
Sempre in riferimento a tale secolo (XVII), Padre Primaldo COCO, dotto scrittore
salentino, profondo conoscitore di documenti e storie dei nostri territori, ricorda che Monacizzo fu sede estiva dell’Arcivescovo Caracciolo, precisando testualmente: ”Eletto nel 1637 Arcivescovo di Taranto mons. D. Tommaso Caracciolo, religioso Teatino dei principi di Avellino, Monacizzo divenne dimora estiva dell’illustre Prelato. Questi, dopo aver fatto molte innovazioni e restauri nella Cattedrale [di Taranto] e rimodernato il palazzo di Grottaglie per ritirarsi nei mesi estivi, accortosi che non poteva godere un po’ di pace e di santa libertà per le continue visite che riceveva, pensò di erigere la sua dimora estiva in Monacizzo per sé e per i suoi, abbellendo il piccolo centro abitato di una graziosa e ridente villa dove nel silenzio e nella pace passava i suoi giorni di riposo. Il Prelato si occupò dell’amministrazione dei piccoli centri abitati di Monacizzo e Termiteto, dei quali godeva del titolo di Barone ... I Prelati successori nutrirono pure per Monacizzo una speciale predilezione, perché luogo silenzioso e tranquillo” (vedi P. COCO, Paesaggi jonici. Monacizzo, in “Voce del Popolo”, 5.1.1935).
Questa particolare predilezione del clero dell’epoca, tradita dalle fonti, sembra mitigare, in parte, la profonda crisi attraversata dal nostro come da altri paeselli dell’area in questo XVII secolo, con conseguente calo generalizzato della popolazione. Una tabella riassuntiva dell’assistenza religiosa praticata all’interno della Diocesi di Taranto nell’anno 1680 registra, in Monacizzo, la presenza di 241 anime da comunione assistite da 1 arciprete e 4 sacerdoti, con una chiesa in condizioni abbastanza convenienti “satis conveniens”. Tale situazione colloca il nostro paese al secondo posto (insieme a Lizzano) dopo Pulsano, privilegiandolo rispetto ad altri centri, anche più popolosi della diocesi, dove si registra la presenza di 1 arciprete (o curato) e 2 sacerdoti, con chiese in cinque casi definite “povere” (vedi B. PELLEGRINO, La Chiesa di Taranto dal Tridentino all’unificazione italiana in C. D. FONSECA (a cura di), Taranto: la Chiesa/le chiese, Taranto, Mandese, 1992, p. 49.
Tale condizione si riflette nella visita di mons. Francesco Pignatelli (1685) che segnala, in Monacizzo, un casale importante su questo versante orientale e, quindi, da visitare per primo; la chiesa è indicata sotto il titolo di S. Pietro la Fossa, ubicata sul lato orientale della Terra (cioè del paese), nei pressi della “Porta australe” (cioè meridionale), con facciata rivolta ad occidente; vi è descritto l’altare Maggiore, ad oriente, l’altare della SS. Vergine del Monte Carmelo (con a lato le immagini di S. Vito e S. Trifone), poi l’altare della Beatissima Vergine Maria del Rosario e di altri Santi (a mezzogiorno), con le statue dei misteri collocati all’intorno; si aggiungono due altri altari a settentrione, di cui, quello ad est, con immagine di S. Pietro la Rossa; si segnala il fonte battesimale e il campanile con due campane; vi celebrano un Arciprete e tre sacerdoti con tre chierici.
Nel secolo successivo, mons. D. Giovanni Rossi, Arcivescovo di Taranto, cedé l’intero feudo di Monacizzo in enfiteusi alla nobile famiglia Muscettola di Leporano con pubblico strumento del 16 gennaio 1746, rogato dal notaio Donato Antonio Troncone di Taranto. E questo passaggio segnerà la storia successiva del nostro borgo e della sua chiesa sino all’Unità d’Italia (vedi M. SPINOSA, vol. cit., pp. 339-358).
In riferimento a tale secolo l’Arditi, vol. cit., p. 359, scrive che “[.....] La chiesa matrice nel 1713 si aveva in capitolo sette partecipanti ed un arciprete. Ridotte le rendite, M. Blundo fu obbligato di limitarli a 2 preti ed un arciprete. L’Arcivescovo Stella nel 1727 vi edificò due altari ed una sacrestia e l’Arcivescovo Serio ne fece la navata”: notizia, invero, in parte problematica per l’identificazione dei prelati e delle date di riferimento (vedi P. TARENTINI, Monacizzo... cit., pp. 176-177). Una pianta settecentesca di Monacizzo (anno 1745) sembra indicare, nella resa grafica della nostra chiesa, una facciata e fors’anche una copertura a doppio spiovente, non so, però, quanto aderente al vero (vedi E. FILOMENA, Maruggio Antica. Martina Franca, Ed. Pugliesi, 1997, p. 19).
Nel secolo successivo, la visita di Mons. Raffaele Blundo, effettuata, invero, da suoi delegati (anno 1841), trova, nella chiesa di Monacizzo, numerosi altari: quello Maggiore, del Crocefisso, della Vergine delle Grazie, di S. Pietro la Rosa, di S. Trifone, del SS. Rosario; nel complesso l’edificio (in cui si segnala anche il confessionale e la sagrestia) non si presenta in buone condizioni ed i delegati danno tre mesi di tempo all’Arciprete per riordinare il tutto.
Nel 1892, dopo l’aggregazione di Monacizzo (insieme a Torricella) da Sava a Lizzano, vengono dimesse le rendite della chiesa di Monacizzo e devolute al comune di Lizzano, che decide di impiegarle per la manutenzione dell’edificio, per il parroco e per le spese di culto (vedi, per queste notizie, M. SPINOSA, vol. cit., pp. 387-388).
Tra il 1927 ed il 1929 si affrontano problematiche di restauro della chiesa per lesioni sempre più ampie, con temporanea chiusura dell’edificio e puntellamento dello stesso. Nella corrispondenza intercorsa tra autorità civili ed ecclesiastiche si apprende che la chiesa risultava devastata “da tanti anni di abbandono e dalla dimora dei soldati durante la guerra”, ma era doveroso, “per non creare un malcontento in quella popolazione fervidamente religiosa, apportare subito alla pericolante costruzione le necessarie riparazioni per garantire la stabilità e riaprire la Chiesa agli uffici spirituali”; ed una relazione tecnica appositamente redatta per l’occasione (anno 1929), definisce la chiesa “[...] senza pregio artistico ... costruita nel 1717 (in base a quali prove?) a tre navi e due campate, divise da pilastri quadri, coperte da volte a padiglione ... un po’ rientranti rispetto al corpo centrale” (vedi M. PICHIERRI – P FRANZOSO, Torricella, da Borgata a Comune, Manduria, Barbieri, 1999, pp. 177,181-186).
Con Decreto Presidenziale del 31 luglio 1954, i due paeselli di Monacizzo e Torricella vengono costituiti in comune autonomo, con capoluogo Torricella, proiettandosi, insieme alle loro chiese, verso l’epoca moderna e contemporanea.
La chiesa odierna, curata dal parroco don Cosimo Lacaita, mostra tre navate divise da pilastri quadrati coperte da volte piane, di cui, quella centrale, più alta. Completano l’edificio la sagrestia ed un alto campanile con tre campane e, come spesso accade nei piccoli paesi della provincia, l’ampiezza dell’impianto contrasta non poco con la modestia del borgo.
La facciata esterna, semplice e lineare, presenta, sullo spigolo di sinistra, un contrafforte sporgente con base “a scarpa” realizzato in occasione dell’abbattimento di una porta d’accesso al paese addossata su questo lato della chiesa (anno 1929). Al disopra del portale d’ingresso si osserva uno stemma ecclesiastico (o nobiliare?) con un gallo al centro e cordoni cadenti dai motivi a festone superiori; a destra di tale portale si pone una porta d’accesso secondaria, meno dimensionata.
Per quanto riguarda l’interno, piuttosto ampio e spazioso, esso presenta un solo altare, quello maggiore, posto nel presbiterio che sprofonda nella parete orientale. Altri 4 altari sembra siano stati abbattuti intorno agli anni Cinquanta. (M. PICHIERRI e P. FRANZOSO, vol. cit., p. 177). Al disopra di questo altare maggiore, nella parete di fondo, si osserva, in alto, l’ampia nicchia destinata (come indicato da una scritta sottostante), alla statua di San Pietro Apostolo, attualmente occupata dall’immagine del sacro cuore di Gesù. Ancora prima, sembra vi fosse una crocifissione, ora collocata, in bella vista, sulla parete meridionale della chiesa. Vari quadretti con immagini della via crucis e statue di cartapesta adornano o si addossano alle pareti, ivi comprese due grandi tele con immagini sacre, non chiaramente identificabili nei personaggi raffigurati (Vergine in trono con bambino e, in primo piano, forse S. Domenico ed il Papa Giulio II; Vergine in alto, tra nuvole ed angeli con, in basso, figura centrale in trono, probabilmente Papa Giulio II tra due personaggi, forse S. Pietro ed un Vescovo o Santo). Una terza tela, posta a destra dell’ingresso (purtroppo sempre più in degrado) mostra un’affollata battaglia, in cui si ipotizza lo scontro navale di Lepanto (anche se nel quadro non appaiono - mi pare- immagini di navi) che vide la vittoria della flotta cristiana su quella turca, con momentaneo arretramento del “pericolo nero” proveniente dal mare; “pericolo nero” che aveva determinato l’eccidio di Otranto ed il sistematico saccheggio dei nostri paesi costieri (vedi, per tali tele, M. PICHIERRI e P. FRANZOSO, vol. cit., pp. 177-182). In basso al quadro, a sinistra, si legge: Secundus Laveglia Manduriensi Pinxit A.D. 1773; un pittore, il La Veglia, proveniente dalla città di Asti, forestiero laico residente a Manduria, “[...] che per puro caso abbiamo individuato tra i pittori manduriani del Settecento grazie alla segnalazione di un suo dipinto esistente nella chiesa parrocchiale di Monacizzo, firmato e datato” (da A. PASANISI, Civiltà del Settecento a Manduria. Economia e società, Manduria, Lacaita, 1992, pp. 13, 93).
Verso la fine del secolo scorso, Gaetano PICHIERRI, appassionato studioso di questo piccolo centro e dei territori limitrofi, richiamando la tradizione basiliana diffusa in zona e descrivendo la chiesa, precisa testualmente: “Testimonianze della vita basiliana a Monacizzo sono da vedere tuttora nella pianta della chiesa principale costruita a croce greca. Questa è intitolata a S. Pietro Apostolo. Di questo santo si venera una vecchia pittura su quadro, restaurata recentemente. Si venera anche in questa chiesa un quadro di S. Trifone che è il protettore di Monacizzo e certamente è un santo della chiesa greca antica”. (G. PICHIERRI, Virgilio e la costa ionica, ad est di Taranto, in “Cenacolo” XI-XII (1981-1982), p.45, nota 33). Per quanto concerne S. Trifone (martirizzato a Nicea nel 250 d.C., venerato tanto in Oriente, quanto in Occidente, effigiato, nella nostra chiesa di Monacizzo, in una statua di cartapesta posta, in alto, all’interno di una nicchia aperta nella parete meridionale) il Catasto Onciario di Monacizzo (1742-1749) ne tramanda il ricordo (unitamente alle già citate Sante Visite di mons. Pignatelli del 1685 e di mons. Blundo del 1841) annoverandolo tra le feste solenni dedicate alla Beata Vergine di Loreto, al Natale, alle Palme, alla Pasqua e, appunto, a S. Trifone (vedi M. SPINOSA, op. cit., pp. 406, 408).
Feste giunte fino a noi, con i due patroni del nostro paesello, S. Trifone e la Madonna di Loreto, ancora oggi festeggiati con una cerimonia solenne che accomuna due chiese, quella della Madonna di Loreto, in basso e quella di S. Pietro, in alto, nonché storie, leggende e tradizioni con esse collegate (vedi A. DIOFANO, Festa patronale a Monacizzo, sito internet di riferimento, dicembre 2023).
Un’ultima data, infine (1939) è segnalata su una delle tre campane dell’alto campanile, insieme ad una scritta che richiama personaggi (Papa Pio XII, Re Vittorio Emanuele III, Il Duce Benito Mussolini, l’Arcivescovo di Taranto Ferdinando Bernardi, l’Arciprete di Monacizzo Eugenio Ferri), legati ad eventi storici di un passato recente, vissuto dai nostri nonni e dai nostri padri (vedi Chiesa Madre di San Pietro Apostolo, sito internet, Guida Torricella, da Wiki):
A.D. MCMXXXIX
PONTIFICE MAXIMO PIO XII
IMPERANTE VICT.EMM.III
DUCE BENITO MUSSOLINI
FERD. BERNARDI ARCHIEP. ECCL. TARANTINAE
SAC. EUGENIUS FERRI ARIMINENSIS
HUIUS PAR ARCHIPR.
A.M. D. C. SUORUM MEMORIA
DONAVIT ECCLESIAE
Un borgo antico, quindi, Monacizzo (oggi in gran parte recuperato) ed una chiesa secolare, ben curata e partecipata; chiesa giunta sino a noi attraverso epoche a volte buie e conflittuali, che hanno visto il crollo di torri e castelli, con luoghi di culto spesso salvati o recuperati per fede e devozione popolare, e per un profondo orgoglio di appartenenza ancora diffuso tra le nostre comunità.
Torre dell’Ovo, 30.7.2025
Paride Tarentini



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