«A noi la compassione, non serve. Vogliamo in primis, rispetto. Che spesso e volentieri, non c’è. Vogliamo delle istituzioni attente e non distratte. Ma anche una comunità più partecipe, più sveglia e vicina a certe situazioni»

«Piccola considerazione sulla Giornata Mondiale della Disabilità: si comprende veramente il senso e il significato di questa “celebrazione” annuale?
Personalmente, non credo proprio. Perché mancano ancora moltissime cose per far sì che questa Giornata Mondiale abbia una sua utilità concreta. Riempirsi la bocca di parole è totalmente inutile.
Servirebbero azioni concrete, progetti seri, ascolto reale, sostegno vero per fare in modo che si possa includere davvero e non solo e soltanto escludere. A noi la compassione, non serve. Vogliamo in primis, rispetto. Che spesso e volentieri, non c’è.
Vogliamo delle istituzioni attente e non distratte. Ma anche una comunità più partecipe, più sveglia e vicina a certe situazioni. Perché se una comunità riesce a svolgere un determinato ruolo per quanto concerne l’integrazione sociale, può essere un bene per tutti quanti. Vorrebbe dire che le cose funzionano. La condivisione non ha mai fatto del male a nessuno, perché se ne ha così paura?
Noi non vogliamo mica la luna (come canterebbe Fiordaliso) chiediamo di far parte della società in cui ci ritroviamo a sopravvivere.
Sì, avete letto bene. Non è un errore di battitura. Sopravvivere. Perché, per vivere serve altro.
E fino a quando tutto quello che di umano ci circonda continuerà a dormire sonni tranquilli e anche a girare sempre la testa dall’altra parte (come se non lo riguardasse per niente) ci sarà ben poco da celebrare. E molti altri passi in avanti, andranno fatti ancora.
Il 3 dicembre di ogni anno tutti parlano e si ricordano di noi, ma se non si agisce nel modo giusto per considerarci finalmente al pari degli altri e non come una palla al piede da emarginare, questa Giornata Mondiale non ha motivo di esistere.
Perché noi ci siamo e ci saremo ancora, tutti i mesi dell’anno. Per lottare, sempre. Come solo chi conosce bene la sofferenza, è abituato a fare».
Claudio Rimoli

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