venerdì 26 aprile 2024

18/05/2021 09:13:32 - Provincia di Taranto - Attualità

«Io e Pier Paolo ci teniamo per mano perché in Italia il 62% delle coppie LGBTQI+ evita di tenersi per mano in pubblico per paura di discriminazioni. Ci teniamo per mano in risposta ai vostri sorrisetti, le vostre battute, le vostre occhiatacce e il vostro ostentato machismo»

«Da maggio dello scorso anno si contano a decine gli episodi di omotransfobia. Quelli denunciati. Quelli ufficiali.

Quelli che invece ti fanno morire dentro, che ti rendono solo, quelli che non hai il coraggio di denunciare, sono migliaia.

Oggi fioccano post, parole, foto, moti multicolore da ogni dove. Da politicanti ottusi che poi discriminano altre componenti personali (che sia per il proprio lavoro, una appartenenza politica, un impegno sociale, una disabilità, semplicemente la propria età anagrafica), o da brand internazionali che hanno speso zero impegno sociale e parole a favore del DDL ZAN. Vi ricordo solo che l’Italia è 35ª su 49 paesi per diritti LGBTQI+ (ultima dei grandi paesi occidentali).

Però l’Italia un primo posto lo occupa. È al primo posto per omicidi di persone trans. Cittadini come me. Come voi. Morti. Ammazzati. Semplicemente perché erano loro stessi.

Ecco noi ci teniamo per mano.

Io e Pier Paolo ci teniamo per mano perché in Italia il 62% delle coppie LGBTQI+ evita di tenersi per mano in pubblico per paura di discriminazioni. Ci teniamo per mano in risposta ai vostri sorrisetti, le vostre battute, le vostre occhiatacce e il vostro ostentato machismo. Ci teniamo per mano perché in realtà di tutte queste vostre reazioni ci importa zero, abbiamo le spalle larghe. E spetta a chi ha le spalle larghe testimoniare l’impegno sociale anche con questi piccoli gesti.

Ci teniamo per mano per far capire a tutti coloro i quali si sono sentiti soli che soli non lo sono mai stati, che non c’è nulla di sbagliato. Che noi ci amiamo e non ce ne vergogniamo, e  anzi un po’ di pietas per quei sorrisetti tristi ce l’abbiamo anche. Che vita infelice quella di chi pensa che si possa curare la diversità».

 

Alex Borsci









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